Erano dei semplici amministratori. Poi, una mattina, si son svegliati con un sogno sconfinato: diventare padroni a tutti gli effetti. La qual cosa, badate bene, non è affatto cagione di paternale a priori: a chi non piace, raggiunta una vetta, tentarne un’altra? Loro, però, han tentato di intestarsi la vigna per vie traverse: deprendandone la proprietà, uccidendo i servi preposti (dal padrone stesso) per la riscossione, freddando l’unico avente diritto dell’eredità per via dinastica: suo figlio. L’accusa, stante alle indagini evangeliche, è da giramento: una sorta di appropriazione indebita, tutt’al più di distrazione di bene immobile appartenente ad altri. Una sorta di peculato agricolo, commesso da chi ne aveva il possesso in ragione di un ufficio affidatogli da altri. Robe d’altri tempi, comunque: peccato soltanto che i ladri non conoscano la storia delle cose che rubano. Nemmeno la destinazione d’uso delle cose che hanno depredato. Puoi impedire ad un uomo di non rubare, ma non di essere ladro: dunque «ascoltate un’altra parabola».
Ancora una vigna: terra da lavorare, viti da potare, grappoli da spremere, il contratto da rispettare. Poi, un giorno, la gola – ch’è un viziaccio di quelli tosti – ha la meglio sulle mani: “A che pro lavorare per il padrone, farlo guadagnare sul nostro sudore, mentre per noi sono solo spiccioli?” si chiedono gli affittuari. Da qui alla bozza di un nuovo contratto fai-da-te il passo è breve: botte coi bastoni, omicidio colposo, lapidazione in diretta. Temeva d’averci visto male il padrone, la qual cosa – questa sua apparente ingenuità professionale – lo rende ancora più avvilito: «Mandò di nuovo altri servi», quasi a non voler credere che ci fosse qualcuno che alla fiducia d’avere avuto in affitto una terra rispondesse con una bastonata fin quasi esagerata: “Vedrai che si sono sbagliati, mi avranno riferito in malo modo. Che valga anche per loro la presunzione d’innocenza”. Ancora pestaggi, invece: brutali, immeritati, ingrati. “Non ci posso davvero credere – è il retropensiero del padrone -: davvero ho dato fiducia a gente col cuore di ferro? Provo l’ultima, mi pare quasi impossibile!” E’ l’ultima chiave del mazzo, di solito, ad aprire la porta. Stavolta, però, la porta della vigna resta sbarrata, il padrone è tenuto fuori: «Su uccidiamolo (il Figlio), avremo noi la sua eredità! Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero». Proprio così, padrone: tu hai dato loro la tua fiducia e loro/noi ti abbiamo dato la nostra rabbia, l’ingordigia ghiotta di chi vorrebbe essere padrone invece che amministratore. Di chi non sa stare al proprio posto: «Se si ammazza un uomo, si è un assassino – scrive Jean Rostand -. Se si ammazzano milioni di uomini, si è un conquistatore. Se li si ammazza tutti, si è un Dio». Si pensa d’essere Dio, coscienti di non esserlo.
Un delitto passionale oppure un’avarizia in fase acuta? Chi ascoltò la parabola gridò: “Morte agli assassini, galera a vita. Che marciscano!” Il padrone della vigna, invece, è l’unico a non perdere il lume. Nessuna vendetta eccetto la punizione di vedersi svuotato il conto della fiducia accreditata loro anzitempo: «Li farà morire miseramente». Da collaboratori fidati del padrone (ha siglato Lui il contratto in essere) a gentaglia della quale non fidarsi più. La vigna, però, non diventerà una discarica abusiva: quella vigna ha una storia tutta sua, nasconde dei segreti, è memoria di mille rinunce, di altrettante ore donate gratis per far sì che fruttasse. Lunga vita a quella vigna, allora, che verrà proposta «in affitto ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». La vigna è la vigna: non perchè è stata lavorata da dirigenti licenziosi diventerà immondezzaio. Resterà vigna ad oltranza, ma cambierà la gestione: quella vigna – il padrone sa cosa c’è in gioco – anche lui l’ha ereditata. Poi, per sentirla sua, l’ha rimessa in gioco. Al padre, nell’atto di riceverla, non promise di raddoppiare il fatturato: con onestà gli disse semplicemente che se qualcuno avesse provato ad offendere la storia nascosta in quella terra si sarebbe scavato la fossa con i suoi denti.
(da Il Sussidiario, 3 ottobre 2020)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Matteo 21,33-43).
Una riflessione in occasione della Giornata per la Carità del Papa
«Eccellenza, domenica prossima si terrà la colletta per la carità del Papa. Ma la gente è turbata perché legge che quei soldi non sono utilizzati per aiutare i poveri, ma per fare investimenti speculativi nei paradisi fiscali, acquistare palazzi lussuosi e dare soldi ai fratelli. Come farete a chiedere le offerte ai fedeli?»
«Non c’è dubbio che quest’anno la colletta per la carità del Papa si svolge in un momento davvero difficile e complicato. Aggiungo che tre domeniche di settembre e due di ottobre sono state indicate dalla Cei come collette obbligatorie. Parlando coi sacerdoti, mi hanno detto che cinque domeniche di collette obbligatorie sono un po’ pesanti nel momento in cui nelle parrocchie i numeri sono ancora contingentati. E tra queste cinque domeniche c’è anche quella della carità del Papa. Da un lato sappiamo che chi sbaglia nelle questioni economiche sono anche persone molto vicine a Francesco, come nel caso del cardinale Becciu. Dall’altro, però, il gesto del Papa di essere così severo con chi sbaglia nel cattivo uso del denaro è un intervento che va a suo favore. Bergoglio, infatti, non ha fatto silenzio, non ha steso un velo pietoso. Poi lasciamo che la verità, come sempre, venga a galla e si sappia chi ha sbagliato. Per me è stata inopportuna la conferenza stampa del cardinale Becciu perché può accadere che nella Chiesa tanti vescovi e preti, nel passato come nel presente, ricevano dei rimproveri, anche abbastanza duri. Però non è che tutti facciano una conferenza stampa subito dopo. Si accetta in silenzio e se uno ha la coscienza a posto la verità, prima o dopo, verrà fuori».
«Quindi i fedeli dovrebbero ancora fidarsi?»
«Sì, nonostante tutto, poiché abbiamo visto e conosciamo il cuore del Papa per i poveri, i migranti e le persone abbandonate. Noi sappiamo bene qual è il suo personale impegno attraverso anche il suo elemosiniere, il cardinale Krajewski, e tante altre sue iniziative che probabilmente noi non conosciamo. Per questo credo che anche quest’anno la nostra fiducia di cattolici non deve comunque venire meno. Certo non è facile, lo sottolineo, andare a chiedere soldi ai fedeli. Però è la carità del Papa. Qualcuno intorno a lui ha sbagliato. Pazienza. È dell’animo umano sbagliare, se ovviamente in questo caso il cardinale Becciu ha sbagliato lui o chi per lui. Però allarghiamo lo sguardo e vediamo comunque che la carità del Papa va a buon fine. Il mio auspicio è che su questo denaro ci sia una vigilanza veramente scrupolosa. Queste cose non possono più accadere».
(dall’intervista a Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi e vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, alla vigilia della colletta per l’Obolo di San Pietro)