(Il 31 luglio ricorrre il 70^ anniversario della scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore-aviatore francese. Un autore dal quale presi le distanze ai tempi del liceo classico: troppo sciroppo nelle parole di chi me ne parlò. Eppoi quel fastidio d’abbinarlo sempre e solo con quel Piccolo Principe che ne fece la fortuna e la disgrazia al tempo stesso. Ci tenemmo alla larga per un decennio. Poi, anche stavolta, la verità: “certi amori non finiscono mai. Fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Me lo scelsi come compagno di viaggio nel mio Dottorato in Teologia. Di lui lessi un’immensità di pagine (eccetto Il Piccolo Principe) e scoprii l’altra faccia: il mistero e l’immensità, gli amori e l’infanzia, le rose e i ciabattini. Da quei giorni me lo sono scelto come amico, le cui pagine abbeverano le mie notti insonni e la cui travolgente ebbrezza m’accompagna nel mio vivere. Per poi scrivere: mai viceversa. Parole sue.
Lo voglio ricordare con questi due articoli apparsi in questi giorni: è il mio grazie per avermi allargato gli orizzonti del sapere. E del sapore.)
S’inabissò nella leggenda la mattina del 31 luglio 1944, facendo rotta verso il Sud della Francia: dentro l’abitacolo di quel Lightning P38 F5B numero 223 – che doveva rincasare alle 12.30 del medesimo giorno – sedeva Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore-aviatore francese, in procinto di compiere la sua nona missione in zona di guerra. Non fece più ritorno sul pianeta terra: «Se sarò ucciso, non rimpiangerò assolutamente niente. Il formicaio futuro mi spaventa. Odio la virtù da robot. Io ero fatto per essere giardiniere» – scrisse in uno degli ultimi appunti trovati giorni dopo la scomparsa nella sua stanza da letto. Le lenzuola erano ancora in ordine: l’ultima fu una notte di veglia, di annotazioni e di profezia. Morire non è niente quando si sa per chi si muore.
Un autore che visse per scrivere e non il contrario: faceva il pieno di vita per essere poi meglio attrezzato a cogliere il dramma, i confini e la precarietà dell’esistenza umana. E tentare di saziare la smisuratezza del suo sogno, che era il suo vero bisogno: ridare all’uomo un significato spirituale. Per questo, forse, ebbe il dono della poesia: per essere capace delle parole dei poeti, quelle che parlano agli antenati e ai nascituri. Scrisse un’opera – Il Piccolo Principe – che nel tempo diventò la sua ingiusta tragedia: quel Principe crebbe così tanto da offuscare il suo papà letterario, facendolo invecchiare come un vecchio sempliciotto, con tutto il resto di una produzione letteraria che trattiene le sfumature della poesia e del richiamo, delle rose e delle fontane, dei voli e dei roseti, dei giardini e delle danze. Del suo tormento: «a tormentarmi non sono né quelle cavità, né quelle gibbosità, né quella bruttezza. Mi tormenta che in ognuno di questi uomini c’è un po’ Mozart, assassinato». Un giardiniere per gli uomini: ecco ciò che agli occhi di Saint-Exupéry destava urgenza: per risvegliare la grazia perduta, la bellezza dell’umano. Quella bellezza che il Novecento – il suo secolo d’appartenenza – ha striato, deriso, beffeggiato fino a bestemmiare, Saint-Exupery la scelse come grammatica del suo vivere. Facendola diventare denuncia e proposta, angoscia e speranza, promessa e accadimento, dubbio e invocazione. Fatica: «vivere è nascere lentamente. Sarebbe troppo facile prendere in prestito delle anime già belle e pronte».
La mattina dell’ultimo volo si staccò per la prima volta da quella valigetta in pelle di cinghiale che portava sempre con sé. La consegnò al comandante Gavoille – «E’ un testamento quello che sto per ricevere», disse a posteriori -: dentro c’era il manoscritto di Cittadella, 985 pagine dattiloscritte, l’unica opera pubblicata postuma. Una sorta di testamento per l’umanità, con buona pace del Piccolo Principe. Un’opera che mette a dura prova la pazienza del lettore ma che svela il vero volto di Antoine. Nelle pagine di Cittadella – «dopo questo scritto, tutte le mie vecchie cose sono soltanto esercizi», confidò agli amici – i suoi grandi temi assurgono alla leggenda: l’uomo e il silenzio, la responsabilità e il tempo, l’educazione e la follia, le navi e la casa, l’infanzia e i giardini, le rose e Dio. Odia le masse, adombrate nell’immagine del «termitaio» e del «vagone del treno». Ama e inneggia all’uomo: quello che sa leggere il futuro nelle incoerenze del presente, che s’inabissa nel banale alla ricerca del fondamentale, che favorisce il futuro vivendo il presente. Che, una volta scoperto il significato delle cose, crea vita: «Costringili a costruire insieme una torre e li muterai in fratelli. Ma se vuoi che si odino getta loro del grano». La vita, per l’appunto: quella che per Antoine è avvenimento, sorpresa, incontro e desiderio. Perchè a convertirci sono le cose che ci toccano nel profondo: «Io disprezzo chi è spinto ad agire con argomentazioni, perchè le parole ti devono esprimere e non guidare».
In Saint-Exupéry la creatura non deve disseccare, il Sahara non deve vincere, l’estetico non deve diventare anestetico. L’assillo è di risvegliare l’uomo, destando ciò che gli è più tipico: sentimenti e ricordi, memoria e desiderio, passione e nostalgia, intuizione e percezione. Perchè «tutti sono d’accordo su cose di poco conto: è facile trovare il linguaggio adatto per esprimere cose banali». Scomparve in volo settant’anni fa, sognando di fare il giardiniere: non si può vivere senza poesia. E nemmeno morire senza colore.
«Signore, quando un giorno riporrai nel granaio la tua Creazione, spalancaci le porte e facci penetrare là ove non sarà più risposto perchè non ci sarà più alcuna risposta da dare, ma soltanto beatitudine, chiave di volta degli interrogativi e volto che appaga» (Cittadella)
«Non c’è che un problema, uno solo: scoprire che esiste una vita dello spirito che trascende l’intelligenza, la sola vita che soddisfi l’uomo. Questo va oltre il problema della vita religiosa che ne è solo una forma. E la vita dello spirito comincia là dove un essere è concepito al di sopra dei materiali che lo compongono» (Un senso alla vita)
«Ci sono uomini fiacchi, incapaci di superarsi. Di una felicità mediocre fanno la loro felicità, dopo aver soffocato la parte migliore di sé. Essi si fermano in una locanda per tutta la vita. Si coprono d’infamia. Non m’importa di ciò che fanno costoro, non m’importa se vivono. Essi chiamano felicità il marcire sulle loro misere provviste. Rifiutano di avere dei nemici all’infuori di sé e dentro di sé» (Cittadella).
«Il teorico crede nella logica. Crede di disprezzare il sogno, l’intuizione e la poesia. Non si accorge che queste tre fate si sono travestite per sedurlo come un innamorato quindicenne. Non sa che deve loro le sue trovate più belle» (Un senso alla vita).
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Nota bibliografica
Antoine de Saint-Exupéry: il “giardiniere” degli uomini.
Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, meglio conosciuto semplicemente Antoine de Saint-Exupéry (Lione, 29 giugno 1900 – Mar Tirreno, 31 luglio 1944) nasce nell’aristocrazia: il padre era ispettore delle assicurazioni e la madre una pittrice. Orfano di padre a quattro anni, visse un’infanzia felice a Saint Maurice de Rémens: «Sono della mia infanzia come di un paese». Appassionato di aviazione – fece anche il venditore d’auto e il contabile – iniziò a sorvolare i cieli, rendendosi protagonista di incidenti proverbiali. Nel 1928 dirige il campo d’aviazione di Cap Juby, nel Sahara e l’anno successivo si trasferisce in Sud America per trasportare la posta attraverso le Ande: è il periodo dell’Aeropostale. La sua una vita piena d’intrighi e di passioni, tra amori leggendari (con Consuelo, sopratutto) e spedizioni al limite dell’impossibile. Seguitò a volare anche se considerato inabile a causa di troppi malanni: entrerà nell’Aviazione Militare dopo l’invasione della Francia nella Seconda Guerra Mondiale. In volo, per l’appunto, scomparve il 31 luglio 1944.
Scrisse quanto visse: non moltissimo, ma di qualità. Oscurato da Il Piccolo Principe – un’opera divenuta più grande di lui – gli altri suoi scritti sono quasi irreperibili o non più stampati in Italia: Corriere del Sud, Volo di Notte, Terra degli Uomini, Pilota di Guerra, Manon, ballerina. I Carnets, centinaia di lettere (alla madre, a Consuelo, agli amici, alle amanti, di guerra), articoli e reportage, sceneggiature e prefazioni. Eppoi Cittadella, l’unica opera pubblicata postuma: il mistero che, infittendosi, s’illumina e ne illumina l’autore.
Nel settembre 2003 vicino all’isola di Riou, a ottanta metri di profondità, appaiono i resti di un aereo. Su una parte del turbocompressore c’è il numero 2734L: è il numero di serie dell’aereo che Antoine pilotò nell’ultimo volo. Di lui, però, nessuna soluzione: «Nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono delle forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo».
(da Il Mattino di Padova, 30 luglio 2014)