Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Ho iniziato la mia avventura di chiesa consegnando il bollettino parrocchiale a domicilio, al mio paese, nella case della contrada. Di quell’appuntamento fisso del sabato pomeriggio, ricordo un particolare significativo: che le mance migliori – che poi consegnavamo orgogliosamente al parroco – arrivavano sempre dalla gente più povera, quella con le case meno di lusso. Certe volte mi accompagnava il nonno, quello che di fronte al mio stupore concludeva sempre così: “Di solito è sempre quella che ha meno, che è più generosa”. Iniziai a scoprirlo anni dopo: il nonno aveva ragione. Capitava che, bussando porta a porta, facessi memoria della storia della vedova narrata nel Vangelo, quella che aveva un solo spicciolo e lo gettò nella cassetta del Tempio. Illuminando il volto del Cristo predicatore.
Sono le “solite storie” dirà qualcuno: eppure quando non ci sono più le grandi storie da raccontare, quelle più piccole diventano gigantesche. Perché stanno lì, con la discrezione delle cose più modeste, affinché tu le guardi e, se piacciono, te le faccia compagne di speranza. Come la storia di generosità che la Diocesi di Padova ha reso ufficiale questa settimana: in tempi di carenza di sacerdoti – un solo ragazzo è stato ordinato quest’anno a Padova, l’ex “sacristia d’Italia” – il Vescovo ha mandato due preti, di sana e robusta costituzione, missionari in una terra sperduta d’Africa, la prefettura di Robe, in Etiopia. Non in una delle missioni storiche di Padova: è cosa normale, in tempi difficili, non abbandonare una terra che si è lavorata. La notizia stupefacente è che, in tempi di penuria folle di preti, la Diocesi “apre” un altro cantiere, in una terra nella quale ha fatto da apripista il vescovo emerito della diocesi: la pensione, invece che claustrale e dorata, se la sta vivendo laggiù, dove i cristiani sono lo “zero-virgola” dell’intera popolazione. Scandalizza: “Con tutti quei paesi rimasti senza prete, il vescovo ne manda due in Africa” dirà qualcuno, ignaro delle logiche evangeliche. La verità, invece, è la vedova al tempio, con il suo spicciolo tra le mani: persone veramente generose non sono quelle che danno molto, ma danno qualcosa a cui tengono da morire. E cosa sta più a cuore di una Chiesa, ridotta ormai all’osso, dei suoi pochi preti rimasti? La forza-lavoro a Padova s’impoverisce di due preti: forse a qualcuno questo dirà qualcosa, lo costringerà a rimeditare sulla gestione delle stagioni di “vacche-grasse”, ci metterà spalle al muro per inventarci una nuova presenza di Chiesa, con meno densità abitativa, più capacità qualitativa. La cosa bella resta sempre la stessa: le chiamate divine non prevedono addestramenti, esigono lo sbaraglio. Si sveleranno vivendole, ammaestreranno dopo che ci si è gettati nel mare, accompagneranno quando si è partiti. “È la missione che fa la Chiesa”, e senza la missione non c’è la Chiesa. Che è sempre più voce del verbo andare.
È una stagione tutta nuova per la Chiesa: arriva sempre un momento in cui si è chiamati a fare le cose che finora abbiamo raccomandato di fare agli altri. È il tempo propizio della crisi: quando i soldi sono pochi, si fa grande attenzione a come li si spende. Mettendo in conto, com’è accaduto in questi giorni, che quei pochi soldi rimasti il modo migliore per investirli sia quello di donarli. «Mentre la tasca si svuota – scriveva il romanziere Victor Hugo – , il cuore si riempie». Non, dunque, una Chiesa diocesana più povera di due suoi preti, bensì una chiesa diocesana più ricca di generosità nel mettere a disposizione due suoi preti. Ad illuminare il tutto, senza riuscire a fornire una spiegazione che abbia un briciolo di logica, resta il fatto che «a un Dio umile non ci si abitua mai», come ripete tra le righe continuamente Francesco, il papa. L’umiltà di una Chiesa che, nel tempo, s’era forse talmente abituata alla generosità di Dio da pensare di avere il futuro garantito all’infinito. Quando l’evidenza è stata tutt’altra, non ci ha pensato due volte a ricominciare in perdita, il prestanome della generosità in borghese.

(da Il Mattino di Padova, 10 giugno 2018)

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