FamigliaMartinLui, Luigi Martin, di professione faceva l’orologiaio; lei, Zelia Guérin, la merlettaia. Nati e cresciuti in una Francia dove il giansenismo era ancora strisciante, ricevettero entrambi un’educazione di impronta religiosa. Prima d’incontrarsi, ambedue sognavano una vita da religiosi. Luigi tentò di entrare tra i canonici regolari di Sant’Agostino nei pressi delle Alpi Svizzere: non lo ammisero perchè non sapeva il latino. Zelia tentò l’avventura tra le Figlie della carità di san Vincenzo de Paoli: in poco tempo intuisce che quella non è la sua strada. Terminati gli studi, lui, figlio di un noto ufficiale dell’esercito napoleonico, decide di specializzarsi nel campo dell’orologeria. Lei si specializza nel “punto d’Alencon” presso la scuola di merletto e aiuta la madre nell’azienda di famiglia che, per l’appunto, produceva merletti. Nel 1858, sul ponte di san Leonardo d’Alencon, vedendo Luigi, Zelia riconosce che quello sarà l’uomo della sua vita. Qualche mese di fidanzamento e si sposano. Una vita scarna e semplice, all’insegna del Vangelo e dei sacramenti. Avranno nove figli (cinque femmine e un maschio): quattro moriranno quasi subito. Educano i figli e le figlie a diventare buone cristiane e oneste cittadine, nulla di più. A 45 anni Zelia muore per un tumore al senso e il marito si trova la famiglia sulle sue spalle. Si trasferisce a Lisieux dove abita la cognata che, d’ora innanzi, si prenderà cura dei nipoti. Tre figlie Luigi le accompagna ad entrare nel Carmelo per iniziare la loro avventura di monache carmelitane. Staccarsi da Teresa – la più piccola, che vi entra a 15 anni – fu per lui uno strazio immenso. Colpito da una malattia che lo renderà invalido, verrà internato in un sanatorio dove morirà poco dopo.
Teresa, per l’appunto: morirà a 24 anni. Conosciuta al mondo come Teresa di Lisieux, perirà a causa della tubercolosi, dopo aver trascorso gli ultimi due anni della sua vita nella “notte della fede”: «Gesù ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, che il pensiero del cielo, dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento. Bisogna aver viaggiato in questa tenebra per capire cosa essa è». Fu lei a vivere e a proporre la teologia della “piccola via” dell’infanzia spirituale: la santità non si trova nelle grandi azioni, ma nelle azioni quotidiane più ordinarie, a condizione di compiere tutto per amore di Dio. In Teresa, che Giovanni Paolo II proclamò “Dottore della Chiesa”, giace un paradosso: morta sconosciuta, essendo una monaca di clausura, verrà da subito celebrata e venerata a livello planetario. Dopo Lourdes, la basilica di Lisieux è il secondo luogo di pellegrinaggio della Francia. Fu dichiarata santa il 17 maggio 1925: il 19 ottobre 2015, a Lisieux, il padre Luigi e la madre Zelia verranno proclamati beati. Una storia partita aggiustando orologi, ricamando merletti, abitando una cella di clausura. Come dire che il loro segreto è molto semplice da dirsi, un po’ più ardito a farsi: questo mondo e queste strade sono per noi il luogo della nostra santità. Nulla di necessario ci manca: qualora mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato.
Una storia così semplice da imbarazzare: per diventare santi non occorre, dunque, scalare il Cielo, inventarsi ciò che non si è o scervellarsi in ascesi rocambolesche. La santità, parola della famiglia Martin, è roba assai più semplice, molto fanciullesca: è questione di fare con amore le piccole azioni di tutti i giorni. Gli strumenti per la santità? I più semplici: la lavatrice e i fornelli, l’officina e la scuola, il trattore e la penna a sfera. Il bagno da pulire, l’orto d’annaffiare, la stalla da ordinare; la casa, la bottega, l’oratorio. Il Dash, la minestra, i tappeti da battere. La “piccola via” di Teresa, figlia di un orologiaio e di una merlettaia. Come dire: anch’io, se ci credessi, avrei tutto per diventare santo.

(da Il Mattino di Padova, 22 marzo 2015)

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