Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

vocazioneIl mistero della vocazione somiglia spesso al mistero delle autoradio, quando in macchina la domenica pomeriggio si vuole ascoltare tutto il calcio minuto per minuto. Dopo che sei riuscito a selezionare il programma giusto nella selva di trasmissioni analoghe, diventa quasi impossibile seguirlo fino in fondo perché continuamente frantumato dalle interferenze. Che, guarda caso, si scatenano sempre nei momenti di maggior interesse. Oggi in Italia si celebra la giornata di preghiera per le vocazioni: “Rispondere all’amore si può” è lo slogan scelto per quest’anno. Che non significa solo pregare perchè ci siano più preti e più suore nel territorio italiano, ma chiedere a squarciagola che ogni vocazione sia vissuta con più creatività, responsabilità e fedeltà. Perchè dietro ad ogni chiamata c’è un desiderio di riconoscenza per quanto si è ricevuto. E’ questo il motivo che spinge un giovane a “darsi” per gli altri, a fare qualcosa di concreto: la bellezza di restituire quanto si è ricevuto.
La vocazione non è quindi proprietà privata dei missionari “doc”, magari con tanto di barba e di profumo di foresta tra le mani. Non solo i ministri dell’altare o le monache di clausura. La vocazione è l’occasione offerta da Dio – l’unico che crede davvero nel presente dei giovani – per evangelizzare il mondo in sua compagnia. In un’epoca di passioni tristi e di scarso investimento nelle risorse giovani, quell’indice che chiama impedisce di nascondersi, di abbassare la testa per non farsi vedere. Quella voce che interpella impedisce di scaricare le responsabilità su altri: “sono giovane, Signore” – osò scusarsi Geremia. “Non dire: sono giovane. Ma và e annunzia loro quanto ti dirò” – gli rinfaccia senza mezze misure Dio. Non si chiede nulla di straordinario se non la disponibilità a diffondere in ogni posto in cui si vive il buon profumo di Cristo che cantava don Tonino Bello. O, meglio ancora, la testardaggine di impedire che qualcun altro firmi la vita al posto nostro. Abbiamo creato confusione per interferire nella chiamata di Dio: ci siamo convinti che la vocazione abiti dietro il velo di una suora e oggi rischiamo di non vedere la mamma che si ocnquista la santità facendo una lavatrice. Pensiamo che la vocazione abiti dietro il colletto di un prete e rischiamo di non vedere papà che sta scalando la santità facendo con umiltà il suo lavoro di netturbino. Pensiamo che la santità sia lavorare alla periferia di Korogocho e perdiamo la chance di vedere la santità di quel ragazzo che a scuola non si vergognano di testimoniare il suo incontro con Cristo. “Sono troppo stanco. Nessuno mi capisce. Tutti ce l’hanno con me! Figurati se me ne va bene una. Lui sì che è intelligente, lei sì che è bella. Non ne sono capace. Non ci provo nemmeno. Tanto non serve a niente! Ma poi: cosa dirà la gente? E’ tutta colpa vostra. Ah, se avessi. Se fossi. Se diventassi. Sarebbe terribile: se mi capita mi sparo”. Mi son chiesto: se i primi cristiani avessero risposto così alla loro vocazione, dove sarebbero arrivati a predicare il Vangelo? Forse sarebbero finiti pure loro nel casting di Amici 2012!
Rispondere all’amore si può. Di più: oggi è un’urgenza, una necessità, una chance per far fare un passo in avanti alla nostra civiltà. Non per nulla lo scrittore francese G. Bernanos ci ricorda che Gesù non ci ha invitati ad essere dolci, molli e untuosi come il miele, ma vigorosi, rigorosi, decisi come il sapore del sale. Gente senza complessi, come Lui: perchè la vocazione – quella all’amore che interpella ciascuno – non divenga uno sfiga ma rimanga la sfida per eccellenza.
Per prendere in mano la nostra vita e farne un capolavoro.

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