Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

f98f452d99ae132d27b363e97a6b026a kdEF U4306061160093603D 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443

Sanremo è sempre Sanremo. Non è solo musica, non sono solo canzonette. Porta con sé, inevitabilmente, i sogni di una nazione, le speranze di un popolo, le polemiche di ogni grandi evento. Perché, è impossibile negarlo, criticato quanto mai, ancora oggi,il festival di Sanremo rimane occasione non solo di musica, ma anche di rivalsa, di politica, di economia, di società, di moda. Forse, riceve anche un’eco mediatica eccessiva. Ma tant’è. Per professionisti indiscussi come Massimo Ranieri oppure per semplici meteore come i tanti che si sono succeduti negli anni senza lasciare traccia dietro sé, l’evento ligure continua ad essere un’occasione d’oro, pur se da sfruttare con cognizione di causa, per chiunque sogni un futuro nel mondo della musica.
Prima, durante e dopo il festival, ognuno si sente in diritto di poter dire la propria, tra gli scettici più assoluti, che si dissociano in maniera totale dall’evento, agli scettici con riserva, che guardano il Festival solo per criticarlo con la massima asprezza, nell’intima convinzione che “non è più come una volta”, fino all’eccesso opposto di quelli che “il Festival si ama e basta”, incapaci di un minimo di obiettività nel giudizio.
Discorso a parte sono, come quasi sempre, i fans. Questa macrocategoria racchiude tutti coloro che seguono con assiduità, che si avvicina (talvolta) alla mania, un determinato artista, gruppo o tenere musicale tutti i suoi lavori. È difficile che chi rientra in questa definizione riesca ad essere obiettivo per il vizio di forma iniziale, per cui è difficile affrancarsi ad un’appartenenza, se questa è, come spesso avviene, addirittura codificata e ricercata. In certi casi, nonostante si parli di musica e non di sport, la dedizione è tale da rendere ottenebrato l’ascolto, approvando a prescindere qualunque opera dell’artista prediletto.
Sul palco dell’Ariston, anche quest’anno, si sono avvicendati vari artisti, più o meno famosi, più o meno giovani, che però non pare abbiano, nel complesso, variato particolarmente dal punto di vista melodico, tanto che, al riassunto dei partecipanti mostrato nell’ultima puntata, che faceva ascoltare un “assaggio” di ogni canzone, sembravano quasi un continuum e non una “macedonia” di canzoni.
Senz’altro, si può dire che lo stile era uniforme, abbastanza “classico”, con un debole tentativo di strizzare l’occhio ai più giovani con qualche sentore di rap “moderato”, ma decisamente lontanissimo dall’avere sfumature rock, metal o anche solo country.

Naturalmente, non sono mancati gli spunti di attualità e varietà, che, negli ultimi anni stanno diventando sempre più a senso unico, vertendo con crescente insistenza sul tema dell’identità di genere. Senza nulla togliere ad un argomento senz’altro interessante, la riproposizione senza tregua di uno stesso argomento credo possa portare ad unico risultato: provocare tedio ed indifferenza.
Menzione a parte merita senza dubbio l’orchestra, che non ha mai fallito, né si è mai dimostrata inferiore alle aspettative di un evento di portata sovranazionale. Non faccio nomi, unicamente per timore di dimenticare qualcuno, dimenticanza imperdonabile, di fronte ad una bravura ed una professionalità encomiabili. Caratteristiche che, del resto, però, non stupiscono, essendo ormai da anni un insieme consolidato, del quale fanno parte i nomi più famosi e titolati d’Italia (che anche all’estero non sfigurano, vantando il più delle volte collaborazioni anche internazionali).
Tuttavia, tra tutti gli artisti vorrei soffermare l’attenzione su un dettaglio.
Il coraggio di andare avanti di un artista, nonostante le condizioni fisiche (era costretto  a prendere svariati medicinali a causa di una bronchite, accompagnata da laringite, che lo ha addirittura costretto ad un breve ricovero in ospedale) così come la cultura dell’immagine e della perfezione, sconsigliassero questa scelta. Sì, sto parlando di Raffaele Riefoli, in arte RAF. Mettiamoci, per un attimo nei suoi panni. A parte la fatica di cantare in una condizione simile, è inevitabile pensare al ritorno d’immagine: ovviamente, la performance ne sarebbe stata condizionata. Significava partecipava alla più importante manifestazione canora italiana di musica leggera, andando incontro, se non ad una figuraccia, quanto meno ad una prestazione sotto tono rispetto all’usuale. Lui ha accettato questo rischio.
Ogni tanto, quando capita di ammalarmi, mi sono ritrovata a pensare “Chissà i personaggi famosi? Un conduttore, ad esempio mica può presentare un programma con la cartelletta in una mano e i Kleenex nell’altra!”. Allora, mi ero convinta che chi faceva questi mestieri (non solo il conduttore, ma  anche altri in cui non era pensabile lavorare con influenza e affini), sviluppassero anticorpi più potenti o qualche altro sistema per non ammalarsi come capitava a noi “comuni mortali”.
Invece no, con grande semplicità, ma anche grande professionismo, Raffaele ha demolito ogni parvenza di “privilegio” nei confronti di chi fa un lavoro come il suo. Ha mostrato tutta la sua umanità, insieme con la sua serietà. Tutti i suoi ascoltatori occasionali, chi faceva zapping e chi lo ha ascoltato solo in quanto concorrente del festival potrà anche essere rimasto deluso, ma chi lo conosce, chi ha avuto il privilegio di lavorarci insieme sa quale sia il suo valore e ha solo ricevuto l’ennesima dimostrazione di rispetto del lavoro, del pubblico e degli impegni presi. Una scelta coraggiosa insomma, che non tutti hanno capito e molti non hanno apprezzato, ma che solo pochi grandi professionisti come lui potevano permettersi di fare. È la dimostrazione che non c’è nessun lavoro, nemmeno il più blasonato o invidiato, che non sia immune da difficoltà, imprevisti, sorprese, fatiche. Anche nel mondo della musica (anche e soprattutto!) è necessario studio, impegno e lavoro costanti, se si vogliono ottenere risultati eccellenti a livello qualitativo. Se si vogliono fare solo soldi, magari basta anche meno, come una buona pubblicità e una buona cura dell’immagine (che garantiscono molti introiti extra, e a tanti zeri). Ma i musicisti che amano la musica e fanno questo lavoro con passione, non si accontentano die soldi, anche se, come tutti, ne hanno ovviamente bisogno: la loro ambizione primaria è ricercare il suono che li soddisfi, esprimere quello che cercano di esternare attraverso uno strumento (una chitarra, una batteria, o la voce stessa). E nella sua imperfezione e accettazione dei suoi limiti contingenti, Raf ci ha dato una lezione di stile e di vita: non sempre è possibile ottenere il risultato migliore, ma quello che ci è chiesto, sempre, è dare il meglio di quello che possiamo in quel momento lì, con tutti i limiti, esterni ed interni, che ci possono essere e di cui, alle volte, possiamo solo intuire la presenza.
Del resto, è significativo che lo stesso Nek, arrivato secondo in finale, abbia tenuto ad esternare, giustamente a gara conclusa, rimostranze rispetto al trattamento riservato a Raf: se da un lato (il suo) c’è stata grande professionalità, dall’altro era forse il caso di esplicitare l’handicap (temporaneo, naturalmente) con cui si era trovato costretto a gareggiare. Chi non era al corrente di questo, poteva pensare ad una stecca per l’emozione. Ma chiunque avesse avuto notizia esplicita, avrebbe potuto, con onestà, valutare quanto potesse influire la malattia nell’esecuzione: chiunque sa che cantare con il raffreddore o un po’ d’influenza può risultare oltremodo difficile e chiunque sa che in palchi importanti, dal vivo, l’errore è dietro l’angolo; non è difficile dunque, facendo i calcoli con tutto ciò, comprendere come Raffaele, senza per questo diventare un eroe, sia però stato oltremodo professionale, affrontando a testa alta e con un mix poco gradevole  a fargli compagnia (bronchite & laringite), una sfida che da sempre ha messo in difficoltà numerosi artisti (senz’andare lontano,  a titolo d’esempio, non è passata inosservata la plateale “demolizione”, ad opera della sua stessa autrice, di “Sei nell’anima”, uno dei brani più famosi, se non il più famoso, di Gianna Nannini).
Apprezzati o meno, alla fine dell’evento, ha vinto “Il volo”, al quale è giusto e doveroso fare i migliori auguri, soprattutto affinché i tre giovani siano consapevoli che, affinché questa vittoria sia loro utile, è necessario rappresenti solo l’inizio. Sanremo (anche se a molti sembra ormai, in questi anni nei quali le occasioni in cui potersi far conoscere sono molteplici, un po’ anacronistici) rimane una bella vetrina, un’occasione per fare presenza, ma, da solo, non può aprire molte strade.
A conclusione della manifestazione, si sono succedute polemiche sulla vittoria, come da copione, alimentando sospetti, congiure e la sensazione che sia solo una gara-farsa, con vincitori e vinti già scritti, giustificato unicamente dalla ricerca di introiti da parte delle più grandi industrie musicali.
In una competizione canora, ogni critica pare sempre un po’ pretestuosa, nel senso che i veri giudici, in concreto, siamo noi che acquistiamo e ascoltiamo musica. E se la musica di oggi non è all’altezza del confronto con quella del passato, recente o remoto che sia, è anche e soprattutto colpa nostra.
Ogni volta che andiamo (o non andiamo) a fare un acquisto, ogni volta che scegliamo dove farlo e ogni volta che scegliamo cosa prendere noi compiamo azioni politiche che hanno un significato preciso e conseguenze persino più importanti della partecipazione a un consulto elettorale.
La musica prodotta non ci piace? Non compriamola! È di bassa qualità e ricerca unicamente il profitto maggiore, a fronte del minor impegno possibile? Non sosteniamola. Non alimentiamo un mercato iniquo che tarpa le ali a professionisti seri e onesti, che mettono quotidianamente in gioco il loro studio e la loro preparazione, con l’intento di ottenere il miglior risultato possibile da offrire ad un pubblico di amanti della musica.
Ad ognuno il proprio. Chi lavora nel mondo della musica, metterà la propria professionalità, la propria serietà, il proprio studio e il proprio impegno per ottenere un risultato che sia rispettoso del pubblico. Ma anche il pubblico deve imparare a farsi rispettare, iniziando a promuovere la musica come parte integrante della cultura. Perché, come in tutte le altre cose, per poter esprimere un giudizio onesto e sincero, è necessario premunirsi delle dovute conoscenze che predispongono a formare le competenze che servono per valutare il lavoro altrui.  
Senza dubbio, la musica ha a che fare con le emozioni, ma per poterne fruire in modo più consapevole, il minimo indispensabile è conoscerne in quantità. Solo dopo aver conosciuto, si potrà fare selezione, trovare eventualmente un genere o un cantante preferito, nella consapevolezza però che, alle volte, è nell’inaspettato che è possibile avere la sorpresa di trovare proprio ciò che non ci rendevamo conto di  cercare, magari inconsapevolmente.

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