Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Qaraqosh

Vedendo Parigi, in quella triste serata dell’aprile 2019, il mondo scoppiò in un pianto ininterrotto: Notre Dame, la bellissima Notre-Dame, ardeva così tanto da sciogliersi sotto gli occhi impotenti, attoniti, del mondo intero: “Brucia un simbolo, arde il cuore dell’Europa, è la fine della cristianità”. Chi scrive non ne avrà mai la certezza: temo, però, che dall’Eliseo di monsieur Macron una chiamata sia partita: “Visto che la Pasqua è alle porte, se il Papa venisse qui in quei giorni, anche solo per far una visita, il mondo apprezzerebbe”. Certo: una carezza, un tocco d’incoraggiamento, il desiderio di condividere un lutto nazionale, europeo, mondiale. D’arte, di fede, di bellezza. Quelle di Notre-Dame, però, erano semplici pietre ammassate una sull’altra. Certo: dove tutti vedevano delle pietre, un giorno qualcuno intravide una cattedrale. Diede forma ad un gioiello La cosa seria, però, era che dall’altra parte del mondo – a Qaraqosh, Mosul, Erbil, altrove – a bruciare non erano pietre, ma carni d’umani. Carni di cristiani perseguitati, ridotti allo stremo, insanguinati, sgozzati come agnelli da lupi inferociti. Costretti ad uscire dalla loro terra, come i loro patriarchi millenni prima. Uomini e donne di Dio,martirizzati per la semplice colpa d’essere capaci di resistere fino alla morte. Oltre la morte, a scapito della morte: per annullare la morte. Fosse andato a Parigi senz’essere andato prima nella macelleria d’Oriente, quella del Papa non sarebbe stata giustizia del cuore. Lì, ancora più che nelle pietre infuocate, batte (arde) forte il cuore di Cristo crocifisso. Lì, in mezzo alla guerra, al Papa-guerrafondaio urgeva il desiderio di esserci. Costasse quel che costasse, anche a costo della vita.
Un fatto d’affetto, questa è la fede: «Uno dei più antichi bisogni umani – è di Margaret Mead – è avere qualcuno che si chieda dove sei quando non torni a casa la notte». Pietrofrancesco, a quella terra rosso-sangue, è legato da vincoli d’affetto, di parentela, di genealogia: «Hai sentito – mi disse un giorno in uno dei suoi momenti, non rarissimi, d’intime confidenze – Sento il bisogno di andare a trovar mio nonno Abramo». Me lo disse così, usando l’appellativo con il più alto indice d’affetto filiale (“nonno”), con una fanciullezza d’animo così forte da imbarazzarmi. In materia di fede, me ne accorsi in diretta, ero in ritardo io, non era esagerato lui: perché, se la casa del nonno è devastata da un incendio, se il nonno sta rischiando la vita, se il paese del nonno è sotto attacco, la cosa che ti viene più spontanea è di raggiungere il nonno il prima possibile. Anche solo per fare una carezza, per dirgli: “Ci sono, non sei da solo, nonnino”. Per restituire quanto il nonno ti ha lasciato come eredità, già in vita. Non me lo disse così, a casaccio. Me lo disse con un sorriso bambino stampato sul volto. Un sorriso che, in diretta, mi rinfrescò la frase che Giosuè scrisse in un suo tema: «”Nonno, che cos’è l’amore” chiesi una volta a mio nonno. Lui mi rispose: “È quel sorriso che avrai sul volto da grande quando mi penserai”». NonnoAbramo, detto col sorriso: aveva ragione il nonno di Giosuè.
Parte, dunque, il generale dell’armata di Dio. Parte sapendo di rischiare la pelle come mai prima d’ora. Non c’è alternativa: nessuna fedeltà senza rischio. La partenza, stavolta, è d’obbligo. E’ obbligata: «Nel 2000 Saddam Hussein proibì a papa Giovanni Paolo II di andarci. Stavolta sento che devo andare: non è possibile deludere questo popolo per la seconda volta», continuò quel giorno. E appresi, ancora una volta leggermente stupito, di come Dio scelga le sue milizie, i suoi generali d’armata, i suoi semplici soldati “su misura”. Forse stupiscono certi suoi disegni, perché deludono certe nostre aspettative: ma sorprendono il cuore le traiettorie di Dio. Non c’è nemmeno il bisogno di scommettere, è la cosa più ovvia e certa di questo viaggio: le cannonate più potenti contro Francesco non saranno quelle del Daesh (che non ci saranno) ma rimarranno quelle di certuni pensatori, di certi siti annoiati, di certi cuori rammolliti che, nelle sue gesta profetiche, vedranno del nefasto. Pietrofrancesco, da parte sua, tirerà dritto per la strada del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe: abbraccerà chi incontrerà, busserà, entrerà nelle case di tutti, pregherà con/per tutti. «Non perseguitare, non deridere mai un tuo simile per la religione. Rispetta ciò in cui lui crede se vuoi che lui, un giorno, rispetti te» professano gli indiani nativi d’America. È il credo più ecumenico, l’inizio di una fraternità universale. Così semplice d’apparire persino eretico.

Fai buon viaggio, Pietrofrancesco. 
Va’ e torna, ti aspettiamo!

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