Come uno dei tanti oggetti dei quali è piena la casa. Il telefono qualcuno lo tiene in cucina, altri sopra un mobile in salotto; i più ansiosi ci aggiungono un cordless da usare al piano terra o, qualora fosse necessario, ne comperano due di simili per avere sempre una ricezione ottima e una reperibilità anche nel momento della toilette. Nell’era dei cellulari, poi, quello di casa sgomita con le decine di telefonini nascosti nelle tasche: tutti insieme, in qualche frammento della giornata, sono una sinfonia di musica, di suoni e d’isterismo collettivo. Perchè lo squillo del telefono somiglia per destino al suono del campanello: sembra di udirlo anche quando in realtà c’è un silenzio tomba che imperversa nella casa: d’altronde l’uomo è un essere che controlla la cassetta della posta dieci volte al giorno nell’attesa di un cenno che lo faccia sentire cercato. C’è stato un tempo in cui bastava fare uno squillo per dire “ti penso, sono arrivato, chiamami”; adesso, forse, basta un sms sul display per rassicurare la mamma, la nonna o la zia e farle dormire tranquille. Ma il telefono rimane tutt’oggi un aggeggio imprevedibile: se suona a mezzogiorno rispondi e basta, se suona la sera alle nove sbuffi per l’insistenza della pubblicità, se suona la mattina presto alzi la cornetta con un pizzico d’agitazione, se suona nel mezzo della notte salti in piedi con il cuore in gola. A qualunque ora suoni, esso è rimasto quel vecchio strumento attraverso il quale scorre la vita quotidiana e nascosta di una famiglia: tant’è vero che la mamma ogni mattina lo spolvera per bene, quasi a raccomandargli di portare sempre e solo buone notizie.
Una telefonata è una cosa semplice, quotidiana, talvolta anche effimera. Ma se il numero di casa tua lo compone la mano di un Papa, allora anche una semplice telefonata diventa una pagina di Vangelo: “Dio ti cerca, Gli stai a cuore, si ricorda di te”. Se non ti trova a mezzogiorno, riprova alle cinque perchè quella non era una telefonata improvvisata: era per te, parlava di te, cercava proprio te in mezzo a miliardi di altre persone. E quel vecchio telefono – che forse somiglia ancora ad un citofono – diventa quasi un cimelio d’amore, una sorta di di misterioso aggancio con il Cielo, un meraviglioso passaporto per la felicità. E sul filo impercettibile di una chiamata fatta all’imbrunire, si riaccende l’eterna freschezza del Vangelo: che sorprende e spiazza, che ammalia e intriga, che stupisce e conquista. Perchè un Papa che ti chiede il piacere di dargli del “tu” è l’eco di un Dio quotidiano, feriale, della porta accanto: il “tu” è il pronome della vicinanza e della confidenza, dell’urgenza e degli apostoli. Quella voce che ti parla è d’uomo ma non è d’uomo, è limpida ma ne avverti la provenienza lontanissima, non l’avevi mai udita ma sembra che di te conosca persino le curve più silenziose della tua storia.
Il Papa che telefona è una notizia mondiale: eppure lui sa di compiere un gesto feriale, evangelico, semplice. Come il Cristo che entrava a casa di Marta e Maria, come Maria che varcava la porta di Elisabetta, come la cena in riva al lago del Risorto con i pescatori affaticati: è la splendida semplicità dei Vangeli di tutti i tempi. Oggi stupisce e incanta perchè l’uomo s’è innamorato dello stordimento e dell’eccesso. Perchè poche volte in vita il tuo vescovo ti chiama per dirti “come stai?”, il tuo datore di lavoro per dirti “vieni a cena stasera?”, il tuo sindaco per dirti “è da tanto che non ti vedo”. In piena crisi a conquistare sono le cose semplici, quelle che quando ci sono non te ne accorgi ma quando mancano ti fanno sentire un po’ più povero e dimenticato. Cose semplici che mettono in imbarazzo gli uomini del “mi dia del lei, per favore”: fino a ieri erano certi che la grandezza passasse attraverso la lontananza più lontana.
(da Il Mattino di Padova, 25 agosto 2013)