Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

verit“Quid est veritas? (cos’è la verità?)” chiede, beffardo, Ponzio Pilato, a quell’Uomo di Galilea che gli viene condotto, legato e ridotto all’(apparente) impotenza, perché ormai divenuto scomodo, sgradevole, inviso alle autorità costituite.

In fondo, però, quella stessa domanda risuona ancora nelle nostre teste, più di duemila anni dopo e ci penetra i pensieri come una lama nel burro. Perché, ancora adesso, i nostri cuori inquieti domandano incessanti risposte al riguardo.

Cosa è la verità? Qual è la verità su di me, sulla mia vita, sulle persone che mi circondano? È qualcosa di compatibile con la mia mente e il mio cuore? O mi “scavalca” totalmente?

Innanzitutto, partendo dal dato esperienziale per cui, in natura, ciò che è oggetto di necessità per ogni essere vivente è sempre qualcosa di possibile e ritenendo l’uomo parte integrante di questa rete di rapporti, ritengo che ciò che l’uomo cerca e desidera sia anche qualcosa di esistente e di possibile. Così come gli animali cercano cibo, acqua e un riparo ed è loro possibile trovare quanto cercano, credo che sia possibile, anche per l’uomo, far fronte a tutte le proprie esigenze, non solo quelle fisico-materiali.

 

L’esistenza e la forma della verità sono state al centro di studi, antichi e moderni, che hanno portato alle conclusioni più disparate. Tra le più in voga al momento, troviamo senza dubbio un relativismo, talvolta sincretico1 , il più delle volte tendente (nella sostanza) ad un cinico e pessimistico nichilismo.

Io credo che, alla fonte di questa teoria vi sia un equivoco sul (pur presente) nesso che lega l’esistenza di una cosa alla sua conoscenza possibile o realizzata da parte dell’uomo.

Porto un esempio, per spiegarmi meglio. Noi tutti (credo) siamo, oggi, convinti che sia la Terra a girare intorno al Sole, così come gli antichi erano convinti che la terra fosse, immobile e maestosa, al centro dell’Universo. Allora, qual è la verità? La nostra? Siamo così sicuri che le nostre (pseudo)certezze scientifiche siano tali da essere universalmente vere e valide in senso assoluto?

Come potrei parlare di verità, se non come un principio universale, distinto e ben riconoscibile?

Vediamo quindi come, in questa ed altre occasioni, possiamo, al massimo, avere un’informazione “tendenzialmente vera, fino a prova contraria” e per cui le possibili smentite possono arrivare, come nel caso dell’esempio, da eventuali progressi tecnico-scientifici.

Non può certo essere considerato un principio valoriale qualcosa di tanto fortemente condizionabile dalle conoscenze di un’epoca o da criteri opinabili, come quello della maggioranza (quasi che un’affermazione possa aumentare il proprio valore, non dalla propria corrispondenza con la realtà, ma dalla forza derivante dal numero di persone che la sostengono). Infatti, se così facessimo, tale principio non potrebbe rivestire la sua funzione (di principio, appunto: cioè di punto di riferimento per una valutazione personale e colletiva, come fondamento teorico per sviluppare un pensiero sulla realtà concreta).

Se fosse altrimenti; se, cioè, affermassimo, relativisticamente, la presenza di molteplici verità, in sostanza dedurremmo l’impossibilità dell’esistenza della verità medesima: perché, se fosse vero tutto e il contrario di tutto, allora della verità non resterebbe più nulla.

Abbiamo, quindi, solo schegge di opinione, che oramai siamo perfino incapaci di confrontare tra loro, perché, se una vale l’altra, l’unico criterio disponibile resta quello, sterile, della maggioranza. Povera Verità, sottoposta alla tirannia della democrazia, idolo di tanti!

Ecco perché parlo del malinteso legame tra conoscenza ed esistenza. Io posso non conoscere la verità. Di più: posso anche considerare che nessuno la conosca. Di più ancora: posso persino arrivare a pensare (con un pessimismo piuttosto scoraggiante, però) che l’uomo non sia, di per sé, in grado di conoscere la verità.

Eppure, neanche questo mi autorizza al salto indebito da conoscenza a esistenza (da gnoseologia a ontologia)2 sarebbe come ritenere che, una volta appurato che l’uomo non è fatto per volare, questo basti a stabilire che il volo non esiste e sia solo un’illusione ottica!

Ecco che allora non ci sono molteplici verità, ma una molteplicità di conoscenze parziali di un’unica verità.

E così, affermazioni diverse traggono il loro valore intrinseco dalla loro verità, cioè dalla loro partecipazione, in grado più o meno elevato, all’unica verità.

 

1Sincretismo: tendenza a fondere in un unico sistema dottrine e teorie filosofiche o religiose differente

2Gnoseologia:parte della filosofia che si occupa dell’origine, della natura, del valore e dei limiti della nostra facoltà di conoscere. Ontologia: parte della metafisica ( parte della filosofia che tratta dei principi universali della realtà, posti oltre la conoscenza sensibile e al di là di ogni esperienza diretta) che studia il concetto e la struttura dell’essere in se stesso

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