Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Non è che la morte fosse già abbastanza triste da non sentirsi in dovere di renderla anche ridicola? Che poi il ridicolo cresce in maniera proporzionale alla fatica che si farà per difenderlo ad oltranza. Un esempio sadduceo: «La donna, alla risurrezione, di chi sarà moglie?» (cfr Lc 20,27-38). Una donna che, quaggiù, per sette volte è rimasta vedova del marito. Che la sfortuna ci veda benissimo, mentre la fortuna è cieca, è dato per assodato. Che questa storiella sia opera di fantasia, minimo, lo è altrettanto: dev’esserci sempre qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo! Un altro, al posto di Gesù, avrebbe risposto: “Ma non avete caldo, così coperti dal ridicolo come siete?” Rendersi ridicoli con dignità: nemmeno ciò san fare i sadducei che, impauriti dal fatto che la leadership di Cristoddìo finisca per agitare il popolo, tentano d’ingabbiare il Rabbì in una delle loro fantasticherie mentali: pure elucubrazioni, al netto di qualsiasi compassione. È la risurrezione il loro problema grosso: siccome non ci credono, allora tentano di sbeffeggiare il solo Uomo che ci creda davvero. Che ci crede così tanto da attribuirsi lui stesso quel nome: «Io sono la risurrezione» (Gv 11,25). Siccome non riescono a tenere controllata la sua immaginazione, decidono di giocare la carta della derisione: “Chiedo per un amico, comunque!” mancava che dicessero per mostrarsi all’avanguardia.

L’uomo, da che mondo è mondo, quando non capisce si mette a prendere per i fondelli: chi è diverso, chi la pensa in maniera differente, chi crede in ideali differenti, chi sposta l’asticella del desiderio leggermente più in alto. I sadducei, volendo fare i simpatici, danno inizio alla grande passione di Cristo: prima della Croce sul Golgota, la sua crocifissione fu quella di metterlo “tra virgolette”, di dir cose balorde su di Lui, di pensare che fosse tutta una burla quella sua voglia di assicurare il mondo che, domani, non andrà perduto nulla di tutto ciò che oggi si è seminato, amando. Loro, invece. (che sono i nostri antenati), credono soltanto a quello che vedono, toccano, annusano. Tutto ciò che è mistero e fiducia, sotto sotto, puzzerà sempre di sospetto: “Se fosse tutta una fregatura? E se alla fine non ci fosse più nulla?” Per vincere la loro paura del nulla, sbattono sul tavolo la carta dell’assurdo: “Nell’aldilà, Rabbì, di chi sarà moglie una che, in vita sua, è stata sposata con sette uomini e, una alla volta, sono morti tutti e sette?” Una cosa, ripulito il loro discorso ridicolo, rimane valida: la loro voglia di sapere che faccia abbia l’aldilà, la loro fame d’eternità. L’aspettativa di sentire che, alla fine, l’aldilà sarà solo il prolungamento dell’aldiqua. In modo da riuscire a controllare la situazione. Da non trovarsi spaesati nel momento del grande trasloco.

Cristoddìo, invece che ripagarli con la stessa moneta, tenta di profittare del loro scherno per spiegare cos’è l’eternità, questo silenzio eterno degli spazi che ci atterrisce: “La vita futura, gente, non è il prolungamento di quella presente. E chi, quaggiù, ha preso moglie e marito, una volta risorti non prenderanno più né moglie né marito”. C’è uno scarto da conteggiare, un imprevisto da calcolare, un inedito da fronteggiare. Allora saremo tutti stranieri l’un l’altro, anche con coloro coi quali, quaggiù, abbiam tessuto rapporti di sangue e d’amore? Se il Paradiso fosse così: “Tieniti il tuo Paradiso, divinità!” La cosa è infinitamente di più, d’un batticuore proporzionale al grado di fatica che comporta la sua comprensione: risorgere in Dio non sarà risorgere ad una vita biologica come quella che stiamo vivendo, ma alla vita di Dio. Ad uno stato diverso dalla semplice rianimazione, da una cinerea reincarnazione. Ad una vita che, quaggiù, ci è dato solamente di balbettare, pregustare, mai comprendere del tutto. Ci basti credere che ci sarà.

Ci sta che l’eternità ci sfugga, anche solo come concetto. La cosa seria è che, stando alle parole di Cristo, abbiamo tutti un appuntamento con l’eternità: e il consiglio è quello di non fare tardi. Anche solo ad iniziare a calcolarla. 

(da Il Sussidiario, 5 novembre 2022)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Vangelo di Luca 20,27-38).

5 risposte

  1. A proposito di risurrezione: ho sempre avuto una piccola perplessità: Se c’è una cosa che mi fa pensare un pochino è perché si parla di speranza di risurrezione quando per noi (mi ci metto pure io) cristiani, dovremmo esserne certi che ci sarà? La speranza credo, è quella che dovrebbe avere chiunque creda. Il significato che spesso si dà alla terminologia, assomiglia troppo spesso a qualcosa del genere: speriamo che ci vada bene. Amette cioè nella frase stessa, una percentuale di errore…. Mi piacerebbe che almeno nel mio funerale si parlasse di certezza di risurrezione e di vita eterna, non di speranza…. Bene ha detto Cristo: Beati coloro che pur non vedendo hanno creduto. Perdona don Marco se nella mia impudenza, esterno questo pensiero, credo che proprio in questo mi gioco tutto il mio essere o non essere di Cristo, ossia cristiano. Un caro abbraccio.
    Antonio. (non quello santo che a Padova c’è già, e neppure quello beato perché Beato Pellegrino che Padova ricorda con una via, si chiamava Antonio)

  2. Don Marco, vuol dire che la grazia di aver vissuto un amore grande, unico e vero e’ la il paradiso vissuto qui . Nell’adila’ , viventi nella luce di Dio saremmo tutti innamorati l’uno dell’altro: innamorati nell’amore di Dio ? Io vorrei ritrovare il mio grande amore: riconoscerlo e riabbracciarlo, ma forse questo premio che mi e’ stato dato in anticipo, qui sulla terra, fa gia’ parte della beatitudine futura? Grazie don Marco

  3. Un brano questo, che nel corso degli anni non anagrafici, ma di comprensione della Parola , mi ha dapprima provocato ilarità pensando al coraggio di una donna che ci riprova per 7 volte , sebbene tale fosse l’usanza in quel tempo per lo stato vedovile , poi sconcerto per una situazione alquanto strana infine , una comprensione che si basa sul grado di fede, fiducia totale ed innegabile in Cristo.

  4. Al “Memento mori” preferisco il “Memento vivere”! Senza dimenticare che entrambi sono già eternità!

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