Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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C’è una linea sottile, che a volte diventa sottilissima. Una linea di demarcazione quasi impercettibile, ma, forse anche per questo, fondamentale. Chi è del mestiere, lo sa.
Documentare, informare è talmente importante che marca la differenza tra una nazione istruita ed una dominata da indifferenza ed ignoranza. Documentare è uno dei compiti di cui siamo maggiormente grati alle sorgenti d’informazione che, in questi ultimi anni, si sono andati moltiplicando in modo – a dir poco – esponenziale.
Nessuno si può permettere, a maggior ragione in situazioni come queste, di sputare sul lavoro di tanti professionisti che consentono anche a chi è lontano di essere aggiornato, ai parenti di sapere che fine abbiano fatto i propri cari, a poter conoscere avvenimenti lontani nello spazio e vicini nel tempo. Se ormai viviamo in un villaggio globale interconnesso, per cui fatichiamo a sentirci stranieri, in qualunque nazione soggiorniamo, è anche grazie alla capillare rete di media che ci consente di sentirci più “uniti” anche sotto questo aspetto.
Ma c’è una domanda che tutti, sia tra i giornalisti, sia tra chi usufruisce del loro servizio dobbiamo porci e non possiamo, in alcun modo, pensare di eludere. Anche se ci farebbe molto comodo evitarla. La domanda è la seguente: qual è il confine, oltrepassato il quale non stiamo più informando, ma lucrando sulle catastrofi, come i più squallidi sciacalli o avvoltoi che dir si voglia?
Perché di questo si tratta. Perché se, per una categoria c’è del lavoro “in più”, a maggior ragione, in un momento dove chi ha il lavoro se lo tiene stretto, posso capire che, chi può guadagnare, cerchi di farlo. È comprensibile ed umano. Ma è bene tenere presente che, come in tutte le cose, anche in questo persiste un limite, valicato il quale ci stiamo dimenticando di essere umani.
Non mi riferisco a niente e a nessuno in particolare, non voglio mettere nulla alla gogna. Esprimo però alcune, inevitabili, constatazioni.

Il palinsesto di tante reti è stato stravolto, tanti giornalisti stanno facendo degli straordinari, benedicendo magari anche la calamità (del resto, “anche loro hanno da campà”), le dirette sono ormai all’ordine del giorno, gli inviati saltellano come grilli da un posto all’altro, fino a giungere, ahimè, al livello di intralciare persino i mezzi dei soccorsi. Stiamo arrivando quasi al livello di una sorta di “grande fratello” del terremoto, con sopravvissuti, ancora sotto shock, rincorsi da giornalisti con le domande più stupide («Ha avuto paura?» o «State bene?»). Penso poi all’insistenza con cui è puntualmente fatto notare che le persone siano in pigiama: mi immedesimo in loro, che hanno perso tutto, che sono uscite così com’erano (e alle tre di notte, non è difficile essere in pigiama) e che vengono additate per il loro abbigliamento, non certo scelto come un outfit da gran galà, ma semplicemente “capitato”, perché le priorità erano certamente altre (salvare la pelle!). C’è di più, purtroppo: siamo arrivati ad interviste effettuate a persone ancora intrappolate sotto le macerie!
Per fortuna, tra tanti esempi negativi, c’è ancora qualcuno in grado di mantenere il controllo della situazione, ricordandosi quel minimo di pudicizia, di decoro e di rispetto per la sofferenza delle persone, che fa dire di no alla richiesta di mostrare la foto di una famiglia rimasta uccisa sotto il crollo di una casa. 
Direi, comunque, che, a seguito di questi eventi viene il dubbio, che, forse, il suddetto confine, sia stato, ormai, ampiamente oltrepassato, con fin troppa nonchalance. Perché, del resto, che utilità avrebbe una diretta non – stop, a tragedia avvenuta. In teoria, potrebbe avere utilità per l’aggiornamento del numero delle vittime, che però può comunque essere effettuato una tantum, cioè solo quando ci sono, effettivamente, degli aggiornamenti (del resto, i nomi delle vittime, è bene che siano prima comunicati alle famiglie, non certo al tg!). Così, invece, il rischio è di trasformare la diretta nello show della strage, con la corsa allo scoop per l’intervista al volontario zelante.
È inutile però incolpare gli addetti ai lavori: se è così, è anche colpa nostra. Noi infatti abbiamo nelle nostre mani il potere decisionale – e, quindi, in un certo senso, il dovere morale – tramite telecomando, di “boicottare” tutti quei programmi che, invece di informare, puntano a fare delle disgrazie altrui il proprio business.


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FONTI

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