Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

ulisseLo ritroveremo beato sugli altari, magari stretto e costretto in qualche capitello appositamente creato, nascosto gentilmente dentro qualche tecla o più semplicemente condannato a starsene quieto dentro gli spazi angusti delle chiese moderne. La speranza è che anche in questa sua nuova situazione – che tanto infastidirebbe il suo animo viaggiatore – sappia infondere speranza e coraggio ad un’umanità alla disperata ricerca di un leader spirituale che sia capace di infondere in essa la bellezza della Verità. Hanno anche pensato ad una data in cui commemorarlo ogni anno (il 22 ottobre): ma anche qui l’auspicio è che da Lassù si rifiuti del limite cronologico e continui ad urlare alla sua Chiesa l’obbligo felice di testimoniare Gesù Cristo prima di tutto il resto. Domani ci metteranno la firma: la formalità nelle istituzioni sfiora il dogma. Eppure per la gente Giovanni Paolo II era già santo ancora in vita. Ci compiace pensare che anche la Chiesa ne abbia attestato le virtù eroiche e lo stile di santità. Così da domani nessuno potrà più impedire al popolo cristiano di inginocchiarsi di fronte ad un uomo che ha saputo catalizzare attorno a Cristo il mondo intero.
Da domani abbiamo un beato in più che – ci perdonino i validi difensori del cristianesimo medievale e tridentino – spingerà il vento dello Spirito a soffiare forte su tutti coloro che si sono innamorati del suo stile: cercare i lontani per accendere in loro il desiderio di Dio. Cosicchè nessuno ci potrà più costringere ad abitare controvoglia le sacrestie delle Chiese ma saremo liberi di correre laddove la gente vive per annunciare loro un incontro, quello con Cristo, che ci ha cambiato la vita. Non ce lo potranno più vietare, perchè hanno reso beato un uomo che meglio di tutti ha dimostrato la validità di tale percorso. E in un mondo dove si raccomanda sempre di “imparare dai più bravi” da domani mattina una fetta di chiesa troverà il suo beato patrono al quale ispirarsi. Una certa stampa faziosa l’ha condannato ad essere il “Papa dei giovani”: grande merito a colui che più di tutti ha avuto il coraggio di costruire una scommessa con i giovani e di vincerla. In realtà è stato un Papa che ha parlato agli adulti in termini di responsabilità, alle donne in termini di dignità, ai potenti in termini di onestà. Un Papa che ha guardato negli occhi Fidel Castro, il dittatore cileno Pinochet e Alì Agca: ha gridato, ha pianto, ha chiesto scusa. Lo definiscono “il papa dei giovani” per sminuirne la portata di ventotto anni di passione per Cristo: in realtà la differenza è che i giovani lo stavano ad ascoltare mentre agli adulti un Papa così dritto nei pensieri e nei gesti stava un po’ scomodo.
Volevano far credere – per mascherare beceri giochi di potere dentro la Chiesa – che un Papa vecchio e tremante non nobilita la Chiesa che rappresenta. Hanno fatto la gara per mostrare insopportabili dettagli, l’hanno ridicolizzato sarcasticamente, troppo spesso le telecamere ne hanno inquadrato le mani tremanti e il filo di bava che colava dalla bocca. Eppure le anime giovani – per natura tese alla ricerca della perfezione estetica più elevata – si sono inginocchiate di fronte al grado massimo della bruttezza dentro la quale già vedevano sorgere raggi luminosi di un cristianesimo dell’innamoramento.
Da domani ci sarà una chiesa più ecumenica al suo interno: chi rimpiange il passato non dovrà fare altro che entrare nella basilica di San Paolo e contemplare i medaglioni che ritraggono i volti dei vecchi Papi. Per chi avrà il coraggio di rischiare per rimanere fedele ci sarà un beato che, allergico ai posti chiusi, continuerà a campeggiare come novello Ulisse di un popolo innamorato e festoso.
Quel senso di festa che tanto infastidirà il popolo dei dinosauri.

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