Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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“Tutti ti cercano” (Mc 1,29-39). Il cielo era forse ancora trapuntato di stelle e, più che vederlo, il mare Arpa lo s’indovinava: quieto mentre dormiva sotto le stelle, carezzato dal rumore dell’acqua sul greto. E Lui, pari al Sole sorgente, col volto inondato di una luce ancor più radiosa perché sorge da un’alba serena. Prega colle braccia aperte, prega ora sorridendo ora con voce angelica tanto è soave. Sembra benedire il giorno che nasce, le stelle che scompaiono, il lago che si risveglia. Eppur l’ansia di Simone non si trattiene. Glielo grida in volto, incurante che il Maestro sia nell’esposizione massima del suo addottrinamento: “Maestro, tutti ti cercano!”.
Qualche attimo prima, proprio sull’imbrunire, la suocera sua era stata guarita. Fin prima di fronte a quella casa non c’era che una vite spettinata, un pozzo basso e un muretto verdastro. Entra Lui e nel mentre le donne preparano una parca zuppa condita da qualche rimasuglio di pesce (la famiglia è per tradizione avvezza alla pesca, ndr), rimette in piedi la suocera di Pietro. Un guizzo portentoso, uno dei mille prodigi registrati in quel pezzo di storia che va dal Lago alla Croce, in quei mille e passa giorni in cui il miracolo più difficile rimarrà quello d’avventurarsi alla sua sequela. Certo: gli storpi si raddrizzeranno, i ciechi ci vedranno, le meretrici torneranno ad essere pure e le sterili riprenderanno a fecondare e lasciarsi fecondare. Ciò che di ostico rimarrà sarà l’avventura a lasciare tutto per scommettere sulla leggerezza di una parola che non passa e non muta d’aspetto. Quell’uomo, uscito come una talpa dal nascondiglio di Nazareth, ne guarirà molti ma non li guarirà tutti. Forse voleva che qualcuno diventasse simbolo per tutti gli altri, gli esclusi lasciati nelle loro malattie. Perché sappiano, almeno, non perdere la loro fede, perché sappiano che Cristo vorrebbe anche loro sanati e felici, se fosse sulla terra certamente li toccherebbe. E questo desiderio sia per loro una medicina da spartire: osare di più è ignoranza. So comunque che malattia e salute non sono cosa nostra; che ogni mattina noi possiamo svegliarci, stirare le nostre membra voluttuose e non sappiamo se alzandoci le gambe non ci cadranno di sotto, se andando allo specchio non scopriremmo un male terribile sbocciato nella notte. L’uomo è padrone solo della propria anima, è questo il terribile paradosso musicato nel Vangelo: se vuole può salvarla, se non vuole può perderla. “E’ sperare la cosa difficile/ – scriveva Charles Pèguy – a voce bassa e vergognosamente./ E la cosa facile è disperare/ ed è la grande tentazione”.

Alcuni si portano dietro un’immagine di Dio che di fatto è superstiziosa. È l’immagine del burattinaio vendicativo che dev’essere assecondato e placato qualora muova un filo sbagliato. Altri se lo raffigurano come un’autorità distante e inaccessibile, completamente discordante con l’amicizia che ci era stata offerta per mezzo di Cristo. È sorprendente il numero di coloro che guardano a Dio come ad una specie di orologiaio – un Dio che sa spiegare tutto sull’universo, ma perfettamente trascurabile nella vita quotidiana. E vi sono persone che lo conoscono solo come Dio–tappabuchi: di per sé egli non esiste necessariamente, fino a che non c’è bisogno di chiedergli un favore o quando sopravviene una difficoltà.
(Lettera pastorale dei Vescovi irlandesi per l’Anno della Gioventù del 1985)

“Tutti ti cercano, Maestro”. Immagina la gaiezza di Simone il Pescatore riaccreditato: l’orgoglio d’essere amico intimo del Cercato, la possibilità di far valere la sua vicinanza agli amici, lo stupore nel sentirsi parte di un’avventura conquistatrice. Non è difficile immaginare lo sfregolìo delle mani di Pietro: “Finalmente, adesso crederanno e noi siamo i privilegiati”. Dopo tanto anonimato, tante derisioni, decuplicati atti di sospetto. “Tutti ti cercano, Signore. Sfrutta la popolarità”: da che mondo e mondo l’uomo sbanda di fronte alla gloria. “Tutti ti cercano”: che figata, sei al centro del palcoscenico e noi con Te! Guardalo Simone, e io con lui: la spensierata ingenuità di chi ha frainteso il cristianesimo con un pugno di gloria. Lui li/ci guarda, forse anche ci compatisce. E ci riporta coi piedi per terra: “Andiamocene altrove!” – e magari scuote la testa a mo’ di paterno rimprovero. “Come? Proprio adesso, Signore? Lasciaci un attimo di gloria: siamo uomini”. Guarda che spreco: gente data in arrivo da Cafarnao, poveri e storpi, uomini di buona e modesta volontà. Guarda consensi che si potrebbero raccattare: somigliano a grossi lucci impigliati nelle vecchie reti. “Potremmo sempre dire che sei stanco, Maestro!”.
“Andiamocene altrove, pescatori!”: servi di tutti e schiavi di nessuno. Perché all’essere cercati non sempre corrisponde l’essere amati.

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