Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Il vangelo degli operai della vigna (Mt 20, 1-16) ci mette sempre un po’ in difficoltà, perché sembra veicolare una concezione ingiustizia della retribuzione, uno sgarbo sindacale nei riguardi degli operai della prima ora, che hanno sopportato il caldo e la fatica della giornata e si vedono ricompensati allo stesso modo di tutti gli altri, che hanno lavorato meno ore.
In realtà, uno sguardo alle altre letture liturgiche può essere molto utile ad entrare nella prospettiva che ci renda meno ostico questo Vangelo.  

Nel capitolo 45 di Isaia, abbiamo un’invettiva, che si trasforma in un invito: constatato che gli idoli sono solo pezzi di legno, incapaci di trasmettere o promuovere salvezza, l’invito è quello di aderire all’Unico che salva, che agisce, che si fa presente, che non si tira indietro quando c’è da giocarsi in prima persona, tanto da offrire, spontaneamente e una volta per sempre, la propria vita per la nostra salvezza.

Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri. Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la giustizia, una parola che non torna indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua (Is 45, 22-23)

Una supplica, quasi, in un paradossale capovolgimento di prospettiva, in cui è Dio a convocare, implorare di venire da Lui, quell’uomo che, disperatamente, Lo cerca, consapevole o meno, in ogni frammento della propria esistenza. Quest’espressione, impregnata di universalismo, ci ricorda quanto sia importante riconoscerci nell’uguaglianza, che accomuna ogni essere umano. Perché uguale è il cuore e uguale il desiderio di bene e la ricerca di verità, anche quando le risposte che raggiungiamo si dimostrano, invece, differenti tra loro.

«Per grazia siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Lo sguardo con cui leggiamo la parabola degli operai nella vigna tradisce come, spesso, questo sia caratterizzato da una concezione meritocratica, per cui a ciascuno torna, con metodo distributivo, in proporzione a quanto ha contribuito. La grazia di Dio, però, distrugge completamente questo sistema, perché è distribuita a titolo completamente gratuito, senz’alcun merito. Di fronte alla logica del dono, non ha alcun senso domandare che siano rispettati i meriti. Non è più possibile avanzare richieste da compravendite nei confronti di Dio, additando con precisione meriti, sacrifici ed opere meritorie, in base alle quale perorare la causa di una grazia particolare, considerata, a questo punto, inevitabile concessione, quasi fosse la contropartita di un sistema di fidelizzazione, come potrebbero essere le raccolte a punti del supermercato.

«Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo» (Ef 2, 13): nessun merito nostro, nessun applauso. Peccato: forse, ci avevamo sperato! Non possiamo mostrare i frutti della nostra fatica, per proporre un nostro avanzamento in graduatoria, magari, a scapito di qualcun altro.
Forse, queste parole possono aiutarci  tornare al brano evangelico degli operai della vigna.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone (Mt 20, 9-11)

Gli operai mormoravano. Probabilmente, anche noi avremmo mormorato contro il padrone, al loro posto. È comprensibile: come si può accettare senza battere ciglio di ricevere lo stesso trattamento di chi ha lavorato poco tempo, nelle ore più fresche della giornata? Eppure, a ben guardare, ha ragione lui: «Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20, 14-15).

Ricordo che, ogni volta, finisce sempre che torno indietro a rileggere, perché il dubbio mi torna sempre: davvero hanno stipulato l’accordo?
Sì, torniamo indietro e analizziamo l’ingresso dei vari operai.

Quando il padrone esce all’alba, in cerca di operai e ne trova, “si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna” (Mt 20, 2).
Quando esce alle nove (ora terza) e trova ancora persone senza occupazione, l’accordo si fa più sbrigativo: “quello che è giusto ve lo darò” (Mt 20, 4). Lo stesso farà anche a mezzogiorno (ora sesta) e alle quindici (ora nona).
Quando arrivano le cinque del pomeriggio (undicesima ora), il tramonto, ormai incombe: il lavoro deve essere compiuto, prima che la notte ed il buio impediscano la vista e costringano a porre termine alla giornata lavorativa; non c’è tempo per un accordo, e li spedisce, quasi con malagrazia, al lavoro, con un semplice: “Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20, 8).

Non solo l’accordo c’è stato, quindi, ma, nel racconto, non si parla di altri accordi, oltre a quello stipulato con il primo gruppo di operai. I lavoratori della prima ora sono, quindi, stati gli unici ad avere il privilegio di convenire un accordo in denaro. Gli altri, forse per la pressione del tanto lavoro da svolgere e del poco tempo loro rimasto, non l’hanno avuto. Per loro, è venuto prima il sollievo di essere stati presi a giornata e sottratti all’ozio della disoccupazione. Sono stati spinti ad avere fiducia di ricevere “quello che è giusto”, come loro promesso, o addirittura, a sperare di ricevere qualcosa, dal momento che il reclutamento degli ultimi sembra addirittura frettoloso, così da non dare modo di perdere tempo in chiacchiere sull’aspetto economico del rapporto.

Se lavorare nella vigna è operare in modo conforme alla volontà di Dio, per amore Suo, è chiaro come sia inutile pretendere una giustizia proporzionale. Cari operai della prima ora, siete dei privilegiati e non ve ne rendete conto!

Il privilegio è il rapporto con Dio e la possibilità di lavorare in società con lui, la ricompensa è il lavoro stesso, perché corrisponde alla risposta alla nostra ricerca di felicità.

Come si misura la felicità? In tempo? In sorrisi?
Forse, dovremmo semplicemente arrenderci a quella gratuità che il dono di Dio ci offre, nella sperimentazione di una bellezza, che, pur effimera, già oggi è disponibile ai nostri occhi ed è riflesso di quell’eternità di bellezza che il volto di Cristo ci invita a contemplare.   


Rif. letture festive ambrosiane nella VI Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore
(Isaia 45, 20-24a; Ef 2, 5c – 13; Mt 20, 1-16)

Fonte immagine: Pexels

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