Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Tommaso

Alla vista degli sbirri quella sera se la diede a gambe levate, nonostante quella promessa – che oggi odora di mercanti e di mercanzie – d’essere capace e disposto a fare chissà cosa per il suo Maestro (liturgia della II^ domenica di Pasqua). I giorni in cui promise erano i giorni del gaudio e del giubilo, dei miracoli e del sollazzo; i giorni della verità furono quelli che per lui seppero di vergogna, di Golgota e sconfitta, di delusione e frustrazione. Chi avrebbe mai osato pensare e pesare una fine così ignominiosa per quel Rabbì così tanto acclamato e conclamato nei mille giorni della predicazione e della notorietà? Addossato di vergogna: così me l’immagino quel discepolo che diverrà proverbio, quell’anima stordita e confusa, quell’essere sentitosi così abbindolato d’apparire anni dopo come uno dei tanti dall’animo facile e dalle credenze superstiziose. Fu un uomo che sperava, amava, sognava, immaginava: l’uomo dei tempi declamati al tempo imperfetto, il tempo della delusione e dell’illusione, del fraintendimento e dello stordimento, della sciocchezza perduta e dei rimpianti fin sulla soglia di casa. Come Giuda, appena accanto a me: chissà in quale Dio sognava d’imbattersi quel discepolo dall’animo così delicato d’infastidirsi oltremisura per quella fine ignominiosa.

Ma quelle quattro apparizioni, quelle quattro testimonianze, non erano bastate a levare tutti i dubbi in tutti. A parecchi quella resurrezione così pronta, così fuori dell’ordinario, che s’era compiuta di notte, in modo occulto e sospetto, pareva piuttosto un’allucinazione del dolore e del desiderio, che verità effettiva Chi diceva di averlo visto? Una donna lunatica che fu già in possesso dei demoni; un febbricitante che non pareva più lui da quando aveva rinnegato il Maestro; e due semplici che non erano neppure veri discepoli e che ora Gesù avrebbe preferito, chissà perchè, agli amici più stretti. Maria poteva essere illusa da un fantasma; Simone, per rifarsi dell’avvilimento, non aveva voluto essere da meno; quegli altri potevano essere impostori o, tutt’al più, visionari. Se Cristo fosse risorto davvero non si sarebbe fatto vedere da tutti, mentre stavano insieme? Perchè quelle preferenze? Perchè quell’apparizione a sessanta stadi da Gerusalemme?
(G. Papini, Vita di Cristo)

Non credette ai suoi occhi sulla Montagna del Teschio: figurarsi se poteva credere alle orecchie altrui dentro il Cenacolo dei Rifugiati. Credere “per sentito dire”: dalle donne, dai compagni d’un tempo, dalle confidenze della primavera passata. Sbugiardato dalla prima confidenza – quella fattagli da un Rabbì che strapazzava i cuori, quella così inaspettata d’essere oggi la più fastidiosa – mai più diede credito a confidenza alcuna. Figurarsi a quella inimmaginabile di quella sera, la sera della prima Pasqua: “Abbiamo visto il Messia!” Accidenti, che gli avessero detto tutto, ma non rimettere il dito nella ferita dell’amore. Eccolo il rimbrotto di Tommaso, senz’indugio e con l’amarezza nel cuore: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Parte dagli occhi: se non vedrà, non crederà. Anche gli occhi però possono ingannare, e dunque c’aggiunge le mani: se non toccherà/metterà non potrà credere. La carne, stavolta dovrà toccare la carne per poter dire ch’è Lui: il lambirsi della carne, il toccarsi della pelle, il giacere nelle ferite. Eccola, allora, una voce giungere dalla soglia. Otto giorni dopo: stessa casa dell’altra volta, stessa combriccola dell’altra volta. Più Tommaso, stavolta. Chissà che settimana avrà passato: “Tornerà? S’arrabbierà per quest’incredulità ch’è soltanto mia? Sarà ancora la Luce di un tempo”. Tommaso, guarda: “Pace a voi (…) Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Punto e a capo; con Tommaso stavolta.
E fu sconfitta piena: “Mio Signore e mio Dio”. Una disfatta al cui cospetto nessuna vittoria seppe reggere quella feroce bellezza: da quell’attimo Tommaso fu tutto di Lui. Per sempre, ad oltranza, senza nemmeno mettere quel dito che aveva anzitempo minacciato.Vittorioso d’animo ma pur sempre un gradino al di sotto di dove potrà stare il più recondito dei credenti: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” E’ l’ultima beatitudine del Vangelo, l’unica non pronunciata sul Monte assieme alle altre ma la più ardita e promettente: quella ch’è ad un passo dalla portata di tutti. Anzi: più il tempo s’allunga da quella prima Pasqua, più il credere sarà opera di anime pure e sfavillanti. Così luminose da metter da parte i sensi – quei cinque sensi che tanto somigliano a dei portinai diffidenti – e credere alla gioia. Di capitolare nell’avvenenza della gioia. Perchè non si crede solo per troppo astio o rancore, capita che taluni non credano per la troppa gioia: l’ultima sfida di Lucifero è d’ingannare circa la possibilità della gioia. Forse per questo Cristo ritorna: per zittire un Demonio il cui unico cruccio fu quello d’insegnare a sospettare sulla bontà di Dio. Il Demonio ha paura della gioia, Cristo la raddoppia. Tanto per non smentirsi.

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