Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Me lo immagino, il Cristo, mentre gli racconta quest’ennesima storiella al suo amico pescatore: Lo immagino in ginocchio, mentre fissa Pietro nello sguardo tra una pausa e l’altra. Quasi a dirgli, con quei silenzi ad intermittenza: “Ci credo a quel che dico, sai. Tu sei disposto a crederci?” Il pescatore di Galilea, e gli amici suoi, a quelle storie, forse, non è che fossero così disposti a crederci: ci credettero, però, perchè a raccontarle era Lui, il bell’amico. E Cristo le sue storie le partoriva in occasioni nelle quali, secondo lui, qualsiasi altro discorso fatto non sarebbe andato a buon fine. L’ultima, in ordine di tempo, è quella che parla di un servo che, ritrovatosi con l’acqua fino al collo – o preso per il collo dai tassi d’usuraio di qualche prestito – trova nell’uomo al quale deve dei crediti pesanti una proposta inaspettata, dopo un’implorazione da batticuore: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» gli disse quand’era sul punto di essere venduto lui e tutta la sua famiglia. Si sentì risollevare: «Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito». Si aspettava, al massimo, un piano di rientro graduale: esagerando, poteva desiderare che non gli fossero applicati dei tassi da usura, o messe condizioni ancora più letali di quel debito già così devastante: «Diecimila talenti». S’imbatte, invece, nella sorpresa di un condono totale: «Gli condonò il debito». 

La supplica è andata a buon fine, oltre ogni più rosea aspettativa.

Con l’indulto in tasca, però, quest’uomo fa il bullo quand’è ancora per strada: «Quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari, lo soffocava». Ancora prima di tornare a casa e dare il lieto annuncio del condono ricevuto, manda in malora quel capitale per non rifare il gesto ricevuto. Era d’un peso infinitamente più piccolo: cento denari contro diecimila talenti! Invece, con il compagno che gli ripropone davanti agli occhi la stessa scena fatta poc’anzi da lui col suo padrone – «Abbi pazienza con me e ti restituirò (tutto)» – lo prende per il collo e non gli concede respiro, figurarsi tregua. Non fu perchè qualcuno fece opera di spionaggio con il padrone che il primo servo cadde in rovina: cadde perchè, accecato dall’ingratitudine, mentre stava ancora attraversando il ponte del perdono lo distrusse con le sue mani: cadendo in acqua da quel ponte che, invece, era diventato per lui un trampolino di lancio verso un sorriso. Dio l’aveva perdonato per la supplica ben fatta, per il figlio tirato in ballo, per la moglie in apprensione? No, l’aveva perdonato per molto meno: non perchè lo meritasse, ma perchè il suo cuore meritava pace. La fregatura resta sempre all’erta: «Perdoniamo tutto a noi stessi e nulla agli altri» (J. De La Fontaine).

Non tace Cristo stavolta. Non può proprio tacere questa volta, è in gioco il cuore stesso del suo cuore amante: «Servo malvagio (…), non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno come io ho avuto pietà di te?» Non fosse stato che prima era stato perdonato, magari quel principio di soffocamento sarebbe stato giudicato dagli organi competenti, non da Cristo in persona. La sentenza, invece, arriva per direttissima perchè, così facendo, si è permesso di prendere in giro il perdono di Dio. Non gli fosse stato condonato il debito, magari aveva una scusante in più da giocarsi. L’inciampo, invece, è proprio lì, e Cristo lo sa: quando Dio ha perdonato in te l’imperdonabile, è come trovarti poi a dover scontare un ergastolo di reciprocità per una vita intera. Eri indebitato fin sopra i capelli e sei stato perdonato completamente: un giorno, a parti invertite, rischi di dispiacerti del perdono ricevuto. Quand’avrai la necessità di rimetterlo in gioco su altri: “Se non c’è perdono reciproco, per me è no!” sembra dire Cristo agli amanti smemorati. C’è anche chi, magari, non ha accumulato nessun debito, finora, con Dio: “Io non avrò mai bisogno del perdono di Dio”. Chissà che per una bugia così maestosa, Dio non decida di giocarsi in anticipo una quota del suo perdono riservato ai grossi debitori. Rimane il fatto che, con Cristo, la vita è tutta una questione di accenti: “Ti perdòno”. Oppure il contrario: “Ti pèrdono”. La stessa identica differenza che c’è tra l’aria fresca e l’aria fritta. 

(da Il Sussidiario, 16 settembre 2023)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Vangelo di Matteo 18, 21-35).

2 risposte

  1. Buonasera, don Marco.
    In attesa di leggere “Chi dorme non piglia Cristo” per il Vangelo di domani, tratterrò nel ❤️ questa Sua meditazione:
    “Non fu perchè qualcuno fece opera di spionaggio con il padrone che il primo servo cadde in rovina: cadde perchè, accecato dall’ingratitudine, mentre stava ancora attraversando il ponte del perdono lo distrusse con le sue mani: cadendo in acqua da quel ponte che, invece, era diventato per lui un trampolino di lancio verso un sorriso. Dio l’aveva perdonato (…) per molto meno: non perchè lo meritasse, ma perchè il suo cuore meritava pace. La fregatura resta sempre all’erta: «Perdoniamo tutto a noi stessi e nulla agli altri» (J. De La Fontaine)”.
    Il primo servo sono/posso essere io; questa oscillazione dipende dal verbo ricordare, dunque -distratta- senz’altro sono; riconoscente, invece, posso.
    Ormai avrà compreso pure Lei che il mio tallone d’Achille sono i fumi e le maschere, in qualunque campo!
    Non strattòno, non odio, ma detesto la malizia eclatante, ad esempio quella di chi fa la ricotta ed utilizza “crema di latte”, ossia la panna!
    Ma si può arrivare a tal punto?
    Spero in una Sua indicazione su come superare tale “impasse”: amare nonostante tutto, nonostante l’evidenza, nonostante gli scaloni pluriaccessoriati e le targhette di ottone che invitano “a parlare a bassa voce”.
    Ma scherziamo o diamo i numeri?! Dove sono l’umiltà ed il rispetto dell’altro?
    Grazie, Don!

  2. Grazie don Marco. Ho letto e sentito tante volte questo brano del Vangelo, senza essermi mai “calata dentro”. Non mi ero mai posta il pensiero cosa volesse dire Gesù a ME, come se IO non c’entrassi nulla con questo brano. L’ho sempre letto e sentito “al di fuori di me stessa”.
    Con questo suo post, di cui la ringrazio, sono dolorosamente calata in me stessa per scoprire come sia facile essere perdonata, ma difficilissimo perdonare. Prego il Signore che mi aiuti a farlo.

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