Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Terra e sassi, di ogni foggia, forma e dimensione. Ai lati, e non sempre, qualche muretto a secco, a guisa di una demarcazione, di un limite, di una sorta di parapetto, per delimitarne il tracciato. Sono mulattiere e sentieri sterrati; una volta percorso principale, che collegava borghi e paesi; ora, molto spesso, utilizzato unicamente da escursionisti in villeggiatura.
È faticoso calpestare questo terreno, specie quando è scosceso, ripido, magari reso un po’ viscido per la pioggia. Com’è diverso, rispetto ai marciapedi lisci, delle strade pianeggianti di città! E questo, nonostante, spesso, noi percorriamo queste strade muniti di calzature tecniche specifiche, con materiali e conformazione ben studiati: punta e talloni rinforzati, tomaiain goretex a protezione dalla pioggia e suola scolpita, per garantire maggiore presa sul terreno, anche quando esso è umido o bagnato.
Mi è inevitabile pensare a chi, prima di me, deve aver percorso gli stessi tracciati, con ben altre attrezzature. Una volta, quelli che per noi sono sentieri di vacanza erano, infatti, l’unico o comunque il più utilizzato tra i percorsi che mettevano in comunicazione tra loro paesi e cittadine. Viandanti, massaie, contadini, ragazzi e bambini anche piccoli. Non c’era alcuna indicazione sulla difficoltà: una volta, si camminava e basta. I più ricchi, magari, possedevano un asino o addirittura dei cavalli, ma erano pochi, pochissimi. Per la maggior parte delle persone, l’unico mezzo di locomozione era rappresentato dalle proprie gambe e dai propri piedi. La velocità di spostamento era data unicamente dalla lunghezza e dal ritmo del proprio passo. Nessuno stupore, dunque, se molti morivano senz’essersi spostato dal luogo in cui erano nati.
Lungo sentieri e mulattiere, tanti si spostavano abitualmente a piedi, anche con cadenza quotidiana e persino diverse volte al giorno: per piccole commissioni, per far visita ai parenti, per recarsi alle funzioni religiose, che scandivano la vita della campagna e dalal città, di una società che vedeva nelle tradizioni religiose e folcloristiche legate alle stagioni un motivo di unità e un modo per stare assieme.
Non esistevano le calzature tecniche, non c’erano punte rinforzate o protezioni al tallone per proteggere dal contatto con pietre, sterpi o radici. I più ricchi avevano delle scarpe chiuse, ma erano i meno numerosi; per lo più, le uniche calzature erano gli zoccoli, per chi non andava a piedi nudi. A lungo, infatti, anche nelle fredde campagne del Nord Italia, in particolare del bergamasco, gli zoccoli erano l’unica calzatura che i contadini conoscessero. Non c’era stagione invernale sufficiente a far cambiare tale consuetudine: le scarpe erano solo per i ricchi.
Se ci pensiamo, anche adesso è così. Ci sono frotte di bambini che sanno a malapena come possa essere fatto un paio di scarpe, perché sono talmente a camminare, correre, saltare a piedi nudi da riuscire a fatica ad immaginare di poter fare tutto ciò con i piedi dentro un paio di calzature. Anche un semplice paio di ciabatte è così inusuale che se lo dimenticherebbero, non essendo abituati a calzarlo.
Non si fanno male ai piedi? Certo, sono di carne ed ossa. Ma i poveri non hanno tempo per il dolore. Ci sono cose più importanti a cui debbono pensare, come trovare cibo per non saltare il pasto e rimanere di nuovo a stomaco vuoto. Nella vita, bisogna sempre scegliere delle priorità: il male ai piedi è secondario, rispetto alla pancia vuota. Dopo un po’ di tempo, anche il corpo si adatta: le piante dei piedi s’induriscono, diventano più resistenti e il dolore non si fa più sentire.
Adesso, non siamo più abituati a fare fatica. Compiere questi tragitti ci pare quasi un atto eroico. I bambini di città, spesso, non più abituati, più di tutti, manifestano disagio e disappunto, se invitati a percorrere mulattiere e sentieri di montagna.

Nastri d’asfalto grigio corrono, più in là, percorsi da autoarticolati, autovetture, motociclette. Lunghe linee di binari e traversine si sono diffuse per campagne, colline e città, fino ad essere percorse da treni ad alta velocità, che fanno concorrenza agli aerei. Piste di atterraggio e di decollo si aprono ai margini delle nostre città: anche il cielo abbiamo conquistato, a servizio dei nostri spostamenti, più e meno quotidiani, per affari, per vacanze, per necessità.
È perfino difficile pensare di poter rinunciare a tutto questo, nella nostra mobilità. La tempistica delle nostre vite lo ritiene fondamentale e indispensabile. E, per inciso, che il progresso della tecnica consenta di spostarsi anche a chi ha meno possibilità atletiche non è una cosa negativa, anzi.
Tuttavia, è bello soffermarsi a pensare a chi ci ha preceduti, percorrendo gli stessi sentieri, che, una volta erano – semplicemente – gli unici possibili.
Terra e sassi, spesso percorsi a piedi nudi o con gli zoccoli, magari trasportando la borsa con la spesa (le uova, il formaggio, la verdura, il pane, il latte) oppure un figlio o due al collo.
Percorrerli ora riporta gli echi di un tempo: di un tempo più lento, ritmato dal passo cadenzato sul selciato, dagli zoccoli dei cavalli e dei muli, dal coraggio di fare fatica quotidianamente, con quel coraggio inconsapevole di chi sa che è quel che è necessario fare, con quella tenacia di chi ha interiorizzato che, solo senza staancarsi di ricominciar, è possibile raggiungere i risultati sperati.
Forse, qualche decennio fa, avevano molti meno elettrodomestici dentro casa e fra le mani. Forse, però, guardare alla loro fortezza, nella semplicità, rimane un insegnamento ancora valido per ciascuno di noi, oggi, che rischiamo di lasciarci sopraffare dalle comodità, dimenticandoci il valore di conquistare la nostra strada, passo dopo passo.

 

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