Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate ed hanno risposto: «Eccoci!», e hanno brillato di gioia per colui che le ha create. (Bar 3, 35)

La liturgia ambrosiana si apre con l’appello, cui le stelle rispondono, con solerte gioia, citato dal profeta Baruc. Come bimbi in fila per andare in cortile a giocare, tanto eccitati ed entusiasti da ritrovarsi incapaci di non provocare un lieto chiasso, tanto familiare a qualunque maestra od educatrice. Un’immagine che ci richiama all’atteggiamento primo, che siamo chiamati ad avere, di fronte al Creatore. Che è gioia e consolazione, anzitutto. Nella consapevolezza interiore che si tratta di un Padre, che ci chiama per nome: anche se siamo miliardi sulla terra, per lui siamo tutti figli unici.

È una liturgia molto particolare e tipicamente ambrosiana, quella di questa settimana: si tratta della festa della Dedicazione della Cattedrale, che cade sempre la III domenica di ottobre, nonostante le varie mutazioni avvenute, nel tempo. Nel V secolo, cattedrale di Milano era S. Tecla: dopo la distruzione, ad opera degli Unni di Attila, fu ricostruita e consacrata nel 453, la terza domenica di ottobre.  Nel 836, fu consacrata s. Maria Maggiore, il 15 ottobre (anche in questo caso, terza domenica del mese). Il 12 ottobre 1418, il papa Martino V, arrivato a dorso di una mula consacrò l’altare maggiore del nuovo Duomo; il 20 ottobre 1577, San Carlo la consacrò nuovamente, in seguito ad un avanzamento dei lavori. In occasione, infine, della ricollocazione dell’antico altare maggiore secondo le disposizioni del Concilio Vaticano II, Carlo Maria dedica il nuovo altare. Era il 19 ottobre 1986.
In questa piccola carrellata storica, vediamo dunque il forte legame che il Duomo ha con questa data, nel susseguirsi delle vicissitudini che ne hanno accompagnato la lunga edificazione. La costruzione di un edificio che, da sempre, ha rappresentato molto non solo per la chiesa meneghina, ma per l’intera città.

«Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 2-4)

Forse, anche a motivo dei recenti trascorsi, la parola del Discepolo Amato risulta particolarmente significativa. Nel cuore pulsante della città, nel suo centro storico e vitale, snodo inevitabile di tutto il sistema dei trasporti pubblici e delle linee metropolitane, il Duomo di Milano ha sempre significato moltissimo per la città. Sede di tutte le celebrazioni pontificali dell’arcivescovo (metropolita e capo del rito ambrosiano), è il luogo in cui si danno appuntamento tutti i presbiteri della diocesi, in occasione della S. Messa Crismale del Giovedì Santo. Luogo nevralgico, al cui richiamo anche il milanese più distratto ed indaffarato non può che rispondere “presente”, alzando il capo almeno per un attimo, in cerca della dorata statua della Madonna, presenza silente e vigilante sul lavoro e sul perpetuo moto degli abitanti e degli ospiti della città.
In questi mesi di forzato confinamento e di maggiore attenzione e prudenza, a causa della particolare situazione sanitaria, è forse diventato ancora di più un simbolo di unità e di vicinanza. Nelle dirette televisive, nei servizi del telegiornale e, in seguito, nel nostro andirivieni quotidiano, nello sforzo di riappropriarsi di una difficile normalità, lo sguardo è tornato al nostro Duomo. Nostro, carico di quell’affettività che ti fa sentire vicine anche le persone lontane, in virtù di quel legame che mai si spezza. Quello della fede e di una tradizione millenaria: di una generosità laboriosa e talvolta incompresa, nel quale riusciamo a volte boriosi ed antipatici, a chi non ci conosce.
Il Duomo è un po’ quella tenda di Dio con gli uomini, nella nostra città. Apparentemente, può rischiare di passare inosservata a chi, preso da ben altri pensieri, ne attraversa la piazza, recandosi in altri luoghi, magari anche un po’ contrariato dalla recente innovazione arborea, rappresentata dalla presenza delle palme. Eppure, come un monito tenace, come una presenza costante e vigilante, silenzioso, il Duomo è lì. In mezzo alla città. In mezzo ai cittadini e ai turisti. In mezzo alle sedi istituzionali, culturali, politiche. Sta. E ci mostra che, a volte, semplicemente stare è la cosa più difficile da fare. Ma, a volte, anche l’unica possibile.
Quando le parole sono povere ed insufficienti, quando la razionalità boccheggia, quando la ricerca di senso ci toglie il respiro, in realtà, cerchiamo solo quel poco che conta. Una mano che non lasci la nostra. Uno sguardo che vegli su di noi, “quando usciamo e quando entriamo” (Sal 120), come quello della Madonnina tra le guglie del Duomo.

Ecco: forse è questo il richiamo più forte che ci giunge dal nostro Duomo. Imparare ad essere anche noi come una tenda di Dio tra gli uomini, che possa aiutare chiunque ricerchi la Verità ad avvicinarsi alla Bellezza, che è Cristo.

 

Rif. Letture festive ambrosiane nella domenica della Dedicazione della Cattedrale


Fonte: Il Duomo di Milano e la liturgia ambrosiana (Marco Navoni, NED)

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