Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

pioggerellina

La rabbia e l’inferno: un inferno di rabbia. Oltre, l’inferno è rabbia: indiavolata, furente, di ghiaccio. Per chi, nel fuoco dell’inferno, ha piantato il suo punto d’osservazione sul mondo, il male ha un che d’inatteso: pur disgustoso, sorprende, stupisce, sbaraglia perchè, parola della Arendt giornalista, «le azioni erano mostruose ma chi le fece era pressoché normale, nè demoniaco nè mostruoso». Hanna lo affermava dell’Olocausto, dunque anche del dramma del Collatino: tra i due crimini, la differenza è solo una questione di moltiplicazione. Il resto è una fotocopia, passibile d’infinite decuplicazioni all’infinito: io senza l’altro. Che me ne faccio dell’altro: Hitler senza gli ebrei, Marc e Manuel senza Luca. Sotto il patrocinio gratuito di Caino, patriarca che fece di una passione un’ideologia: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: “A me che importa?”» (Francesco, Sacrario militare di Redipuglia). E’ una legge della fisica che il vuoto tenda a riempirsi.
Rumino come una vacca a terra sui fatti del Collatino – dopo averli inghiottiti dalla cronaca – e, da uomo di galera, mi sovviene un’immagine: quella della pioggerellina leggera che avvolge un turista tutto immerso nelle bellezze di una città. Dal cielo scende lenta, bagnata, fradicia: lui continua nel suo tour, noncurante di essa. La respira, la inghiotte, la fa accomodare sotto i denti, sulle narici, sotto le colorate vesti ma sembra non farci più di tanto caso. Mangia, beve, sghignazza e, nel frattempo, lei s’adopra nella sua invasione, nella sua devastazione. Basta poco, però, – un rallentamento, una sosta forzata, un semaforo rosso – perchè il viandante s’accorga d’essere tutto bagnato fradicio, inzuppato, invaso d’umidità. Solo allora, preoccupato di diventare malaticcio, inizia a scrollarsi di dosso quell’ospite inatteso e fastidioso del quale non s’era accorto. O, più probabile, che aveva ospitato fingendo di non vederlo. Finanche ignaro delle sue moleste conseguenze. La matta bestialitade di Dante nasce qui: ai margini della noncuranza, sulle sfumature di un’apparente divertimento, nella terra di quella vacanza-illimitata che abbiamo accettato di confondere con la vera felicità. Poi arriva Marc-Manuel-senza-Luca e ci spiegano, con un modo tutto loro, la differenza che c’è tra solletico e felicità. Loro due: non i più sadici, non i più cattivi, semplicemente stavolta è toccato a loro, «euforici abitanti della notte, indifferenti passanti del giorno» (S. Abruzzese). Vuoti a rendere: restituiti. (*)
Rido (per non piangere) di chi oggi si rabbuia, compatisco chi oggi si meraviglia: mi capotto dalle analisi dei geometri che, bilancino dello spaccio alla mano, dicono di un tragico dosaggio delle sostanze. Come se, chiedendo aiuto ad un professionista, la morte si sarebbe potuta evitare. Non è una questione di droga, nemmeno un’alluvione di quelle che ci colgono senza ombrello a ferragosto: è piuttosto una pioggerellina, impalpabile, con la quale conviviamo, senza accorgimenti, da anni. Da decenni: «Anche in passato avevo avuto un momento in cui avevo l’intenzione di far del male a qualcuno. Non so come questa idea sia maturata tra me e me» ha dichiarato Manuel Foffo, il cinquanta per cento del crimine. Non so come sia maturata, non so come abbia fatto a bagnarmi in questa maniera: eppure sembravano quattro gocce. Mica rozzo Satana, fottutissimo genio del male: “metti in ordine il mondo senza di Lui. Un pezzettino alla volta”. Loro due, ma anche la fazione opposta: “ergastolo, pena di morte, società liquida, materialismo, egoismo”. Parole tutte vane se prima non si ha il coraggio di gettare lo sguardo dentro quell’abisso: il male, spostato, raddoppia. Guardato in faccia, ammaestra. Chi ha definito matta la bestialitade è lo stesso che, per chiudere il suo Inferno, non trovò di meglio che tirare in ballo le stelle medesime: «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno, XXXIV, 139).
Le stelle: bombole d’ossigeno per chi accetta di calarsi nell’abisso del male.


(*) La locuzione vuoto a rendere indica che un contenitore, una volta svuotato, dev’essere reso al fornitore, così che possa essere riutilizzato (si arriva fino a 20 riutilizzi per le bottiglie in PET, 40 per quelle in vetro). In genere, chi acquista il prodotto in vuoto a rendere paga una cauzione che viene resa al momento della restituzione.

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