Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

 

Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda- si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello, – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere sempre uno per tutti e sempre quest’uno che ci crediamo in ogni nostro atto. Non è vero! Non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all’improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto!

(Luigi Pirandello)

Comincia tutto così: sei personaggi in cerca di Autore vengono dispiegati uno alla volta su un palcoscenico che sembra in corso di allestimento e che ha come scenografia la vita quotidiana di ciascuno di noi. Ogni personaggio rivela e svela sulla scena il proprio dramma. Il sipario si apre col primo personaggio che inizia un dialogo dai toni un po’ provocatori, da copione sta scritto: si alzò per mettere alla prova il suo interlocutore. Il primo personaggio che irrompe è un Maestro della Legge, un saccente che ha nel suo intimo le domande che si porta dentro ogni comune mortale: «Cosa devo fare? Che cosa devo fare nella vita? Che cosa devo fare per avere la vita, quella eterna?». Certo è che tra il sapere e il fare -per i farisei- c’é sempre di mezzo l’interrogare, soprattutto quando questo fa rima con il giustificare -se stessi- e il giudicare -gli altri. Sopraggiunge poi sulla scena un sacerdote: un uomo di grande rigore morale, rigido e tendente all’assoluta perfezione. Profumato e imbellettato di incenso, mostra in scena la sua necessità di vivere secondo la Legge, il suo spasmodico bisogno di tenere sotto controllo le situazioni e le persone, fino ad allontanarle o ignorarle se hanno programmi di vita diversi o se sovvertono i suoi. Il sacerdote è un uomo che soffre perché vorrebbe essere il regista, della sua vita e di quella degli altri, ma capisce che questo non è possibile –la Legge, nonostante gli sforzi, non salva– e per questo passa sulla scena uscendo di scena e andando oltre. Lasciando il posto ad un levita, l’uomo del culto. Culto del denaro, del sesso, della bellezza fisica, dell’autocompiacimento e dell’autogratificazione, del successo e dei deliri di onnipotenza. Del tutto elevato alla seconda e moltiplicato per una serie di assolutismi che non sono tendenti all’Infinito, all’Assoluto. Anche lui esce di scena passando oltre. Il dramma si snoda proseguendo e catturando l’attenzione dello spettatore su un uomo; il quarto personaggio non ha nemmeno un nome. Lui si staglia sulla scena, è il centro della scena perché giace a terra insanguinato e mezzo morto. Ferito dalle lotte, dai limiti non accettati di sé stesso, dai bisogni insoddisfatti. Dice il copione che era caduto in mano ai briganti che lo avevano denudato e bastonato. Ed eccoli lì, in effetti, sulla scena, adesso, ci sono anche loro: i briganti. Non hanno parti recitate perché sono personaggi parassiti dentro il cuore di ciascun personaggio. Nella descrizione del regista sono tutti i sentimenti, l’intelligenza, le forze, la vita, i beni -materiali e spirituali- che non sono orientati verso l’Assoluto, che non sono stati investiti per amare ma per condannare (e autocondannarsi) ed uccidere. Sono tutti i tentativi dell’uomo di farsi prossimo che invece di far vivere uccidono; che invece di completare, denudano; che invece di accarezzare, percuotono. I briganti altro non sono che le cose -inutili- del mondo. Sulla via che da Gerusalemme scende a Gerico, sulla via che allontana dalla sofferenza, che vuole scansare il dolore in cerca del piacere e di piacere, inevitabilmente si fa esperienza dei briganti. Ma il deus ex machina è lì, sulla scena appare il sesto personaggio: il samaritano. Arriva quando sembra tutto finito; é un viaggiatore -dicono dalla regia- un viandante che fa i viaggi all’incontrario. Lui a Gerusalemme ci sta andando, per incontrare tutti. Tutti i feriti, gli abbandonati, gli appestati. I mezzi morti. Tutta la storia prima di Lui, e tutta quella dopo di Lui. Sta andando a farsi bastonare, denudare. Sta andando a farsi morte su una Croce per farsi prossimo all’uomo. Egli è la vicinanza di Dio ad ogni lontananza dell’uomo da Lui. Lungo questo viaggio si ferma, guarda così intensamente chi incontra che il suo occhio diventa viscere, prova compassione e si abbassa a curare, con le sue piaghe, quelle dell’uomo. Lui diventa ferito e l’uomo guarito, caricandosi sulle spalle ciò che ha comprato a caro prezzo: l’umanità intera. Olio e vino- Spirito e Vita- sono versati in abbondanza su ogni ferita. Poi giù, fino alla locanda più vicina -la Chiesa- che accoglie tutti, soprattutto i feriti, i peccatori, quelli bastonati; lascerá due denari -il sostentamento per due giorni- perché il terzo giorno, Lui, ritorna sempre. Amandoci per primo e insegnandoci come si ama, ci dona il segreto della Vita: fa’ questo e vivrai. 

E tu, caro lettore, chi sei? Forse sei un dottore della Legge, il sacerdote, il levita, il samaritano. O sei un brigante? Giaci sotto il peso del tuo dolore, sentendoti mezzo morto, nudo, bastonato? 

 -«Sono quello bastonato, picchiato e mezzo morto!»

-«Ma quello é Gesù! Ma sei tu!»

 

-«Sei tu, che puoi guarire!» 

-«Ma quello è Gesù! Ma sei tu!»

«Il buon samaritano sei tu, ma è Gesù, ma sei tu!»

 

Il gruppo teatrale che anima il dramma sta facendo, in realtà, le prove proprio per il gioco delle parti. I sei personaggi sono uno solo, in cerca di Uno solo, dell’Unico -perché unico é il comando: amare- che vuole farsi uno con te. Che si fa Tutto in tutti. Che accoglie tutti.

L’Autore della vita. Anche della tua.

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