Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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«Eppure a nulla servono le vostre ingiuste crudeltà: sono piuttosto un’attrattiva per la nostra setta. Noi diventiamo più numerosi tutte le volte che siamo falciati da voi: il sangue è semente di cristiani»

A leggere le parole di Tertulliano, verrebbe forse da pensare si tratti di un commento di apologetica, che ben s’attaglia all’epoca in cui fu scritto, in cui imperversavano le persecuzioni nei riguardi di quanti si professavano apertamente cristiani.
Tuttavia, i dati stimano che il secolo scorso sia stato quello che ha registrato il maggior numero di martiri cristiani. Oggi come ieri, bersaglio preferito di violenza.
E, senz’andare lontani, nel tempo e nello spazio, fatti recenti attestano la cocente attualità del martirio. A Minya, in Egitto, alcuni pellegrini copti, su un pullman, diretto al monastero di san Samuele, sono stati assaliti da un commando di uomini, vestiti da militari che, fatto fermare il pullman, ha fatto fuoco sui passeggeri. Il bilancio aggiornato dice che le vittime sono almeno trentacinque, tra cui molti bambini, e diverse persone stanno lottando per vivere, ricoverate in ospedale.
Come capita a tante nostre combriccole cristiane, cattoliche e non. Parrocchiali e non. Gite fuori porta. Visite pastorali e papali. Giornate mondiali della gioventù. Pellegrinaggi.  Quante volte, la fede è stato motivo del nostro viaggiare in pullman. Immagino che molti, tra quelli che si professano cristiani possano aver fatto, almeno una volta nella vita, un’esperienza simile. Perché, alle motivazioni di fede, si aggiungono le motivazioni “sociali”. Condividere uno spazio, per quanto comodo, mai particolarmente largo con persone più o meno note, rimane l’esperienza di una condivisione fraterna con persone con cui sappiamo per certo di condividere una fede. Spesso, tuttavia, la somiglianza naufraga lì. Differenti vedute politico-sociali, diversa cultura, diverso ceto sociale, diversa vita quotidiana. Tanto che potrebbe sfiorarci il dubbio che persino la somiglianza sia apparente! Ma così non è: il bello della Chiesa è precisamente questo: si può essere diversi in quasi-tutto, ma, accomunati da un’unica fede, ci ritroviamo fratelli in Cristo.
Qualcuno potrebbe obiettare che i copti non sono cattolici. Questo è senz’altro vero. Ci sono delle differenze, e, in un certo senso, è bello che ci sia: le differenze, aiutano a crescere, a farci domande, a metterci in discussione. Senza dubbio, tuttavia,  siamo accomunati dalle fede. Come opportunamente ebbe modo di sintetizzare, provocatoriamente,  il teologo Bruno Forte: «Il credente è in un certo senso un ateo che, ogni giorno, si sforza di cominciare a credere. Se non fosse così, la fede non sarebbe un rapporto di amore, e perciò di lotta, che si rinnova ogni giorno».
Leggiamo con attenzione cosa sottolinea Il Giornale:

Gli assalitori, prima di scaricare i kalashnikov contro i passeggeri dei due autobus che viaggiavano in direzione del monastero di San Samuele, “gli hanno rubato soldi e oro” e “hanno anche chiesto loro di rinunciare a Cristo e di diventare musulmani”. Ma, alla richiesta d’abiura, i cristiano-copti avrebbero risposto negativamente. Il rifiuto della conversione all’Islam avrebbe scatenato la furia omicida dei terroristi che “hanno messo la pistola sulla testa e sul collo” dei pellegrini “per ucciderli in modo diretto”. “Se avessero accettato – ha puntualizzato Padre Gabriel – li avrebbero salvati”.

Torniamo ora a Tertulliano e, memori di quel che sappiamo degli ultimi momenti concitati toccati in sorte a questi pellegrini in viaggio verso un monastero, non possiamo che vedere attualizzata la stessa testimonianza resa da Apollonio, Agata, Pietro, Paolo, Stefano.
Nessuno di loro cercò la morte. Nessuno di loro scelse la morte. Ma preferirono accoglierla, come conseguenza del loro scegliere Cristo, piuttosto avere salva la propria vita, ma a costo della rinuncia a Cristo.
Ha avuto grande risalto mediatico, giustamente, l’attentato a Manchester, in cui tanti bambini, ragazzi, giovani, adulti, mamme, nonne, zie sono rimasti barbaramente feriti od uccisi, tramite una bomba imbottita di chiodi, durante un momento di festa, di musica, di gioia. Quanto meno noi che ci diciamo cristiani, però, non possiamo non fermarci a riflettere, a seguito di fatti di cronaca come quello di  Minya sul valore della libertà di professare la propria fede, in modo pubblico e privato, di cui talvolta ci dimentichiamo, magari per un malinteso concetto di “rispetto” dietro al quale celiamo, in realtà, la fragilità della nostra fede, di fronte al giudizio altrui.


Link per approfondire:
Churchmilitant
Huffingtonpost
Askanews
Tempi

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