Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Un medico, un marito, un missionario, un padre. Un ragazzo che entrò in seminario giovanissimo, per poi prendere una strada diversa. Perché la creatività dello Spirito ci spinge per sentieri diversi da quelli che ci aspetteremmo. Una storia che, a tratti sembra una beffa netta e a tratti fa commuovere: la fondazione di una comunità, il cui fondatore muore poco dopo averla creata, ancora nel pieno delle forze, in modo apparentemente senza senso.
Alessandro Nottegar nasce a Verona il 30 ottobre 1943: dopo diversi anni di discernimento vocazionale presso i Servi di Maria, comprende che il sacerdozio non è la propria strada e decide di iscriversi alla facoltà di Medicina. Non intende però rinunciare a Dio: il suo proponimento è di servirLo nella condivisione con gli altri dei doni ricevuti, attraverso il proprio lavoro ed il matrimonio con Luisa, che sposa nel 1971 e con cui avrà tre figlie.
Si laurea nel 1977 e, nel 1978, decide di partire, insieme con la famiglia, come missionario per il Brasile, pur tra diverse titubanze, legate alla famiglia: la madre di Luisa soffre infatti di depressione. I familiari però, comprendendo la loro scelta, non impediscono loro di partire, anzi anche la situazione migliora: la madre di Luisa, partecipando ad un gruppo di preghiera, impara a lodare Dio ed anche suo marito inizia a starle più vicino, durante i momenti di crisi, invece di all’osteria. La famiglia Nottegar è stata, in un certo senso “pioniera” in questo, perché è stata tra le prime famiglie a partire missionaria.
La vita non è sempre facile, ma, con spontaneità e generosità, il medico sa donarsi a chi ha bisogno, dando ascolto a chi ne ha bisogno e ritrovandosi a tornare senza una camicia o chiedendo alla moglie se nell’armadio delle bimbe ci fosse qualcosa in più per chi ha bisogno. Era capace di vera empatia e rispetto verso chi era nel bisogno e c’è forse un aneddoto che lo racconta meglio di altri. Una volta è invitato, con la famiglia, a casa di una famiglia povera. Offrono loro da bere, ma non ci sono bicchieri per tutti, per cui è utilizzata una scatoletta di latta al posto dei bicchieri. La bimba, inizialmente, non vorrebbe bere; il padre le spiega, con pazienza e dolcezza che, anche se non è abituata a bere da quel contenitore oppure non le piace qualcosa che le viene offerto, chi lo sta offrendo sta donando ciò che di meglio ha, quindi la prega di accettare, di provarne un po’ e, eventualmente, di lasciarlo a lui. Allora lei, dopo un brevissimo assaggio ed un plateale “Mmm che buono” aggiunge prontamente: “Papà, lo vuoi?”.
Non è tutto rose e fiori, come sempre accade nella vita, sempre piena di capovolgimenti di fronte. La figlia maggiore si ammala di malaria, la seconda soffre di asma, Sandro perde il lavoro in ospedale. Tutto ciò li spinge a tornare in Italia, dopo quattro anni di missione e ricominciare daccapo, lavoro compreso, che Alessandro trova presso l’ospedale di San Bonifacio (VR). Ritornare, vuol dire ricominciare davvero “tutto”, perché si trattava di ritornare senza nulla, perché avevano venduto la casa. Eppure, con fiducia nella Provvidenza, riescono in questo loro nuovo inizio.

Una Parola che guidò i coniugi, durante la loro vita assieme è stata quella di non andare mai a dormire, senza essersi riconciliati. Una cosa che non pare straordinaria, ma che si rivela ardua, nei momenti più impegnativi, quando si fanno prepotenti tensioni od incomprensioni, pressoché inevitabili, nella vita di coppia.
Il 15 agosto 1986, nasce la Comunità Regina Pacis, che, ancora oggi è “una comunità di vita in comune formata da famiglie, laici, religiosi e presbiteri che vogliono vivere il Vangelo in radicalità, per essere ANNUNCIO e PROFEZIA del Regno nella Chiesa e nel mondo” (come evidenzia il sito). È forse questa la peculiarità più originale e caratteristica: l’intuizione di una vita comune tra persone che seguono vocazioni e scelte di vita tra loro differente, ma tutte a chiamare Cristo nella perfezione evangelica. Il nome “Regina Pacis” deriva dalla prima ispirazione ricevuta a Medjugorje nel 1983, poichè là, sul Podbrdo, il dott. Alessandro e Luisa consacrarono la futura Comunità alla Madonna. Centro della Comunità è Gesù Eucaristia, che, nella preghiera personale e comunitaria e attraverso la Parola di Dio diventa il “motore” con cui poter essere testimoni, ognuno nella propria vita, dell’amore di Dio.
I colori della comunità sono il bianco (che rimanda alla gioia della Risurrezione) e il marrone (che rimanda alla Croce): significativamente, l’abito dei religiosi, bianco e marrone, ricorda molto un grembiule a simboleggiare lo spirito di servizio, che ha sempre caratterizzato il fondatore, il quale, per i propri malati, non aveva orari.
Il 19 settembre ‘86, al ritorno dal suo lavoro in ospedale, Alessandro muore improvvisamente,stroncato da un infarto. Ha solo 42 anni e lascia una moglie (di un anno più giovane di lui), con tre figlie ancora piccole (Chiara era in prima superiore, Francesca in prima media e Miriam in prima elementare). Per Luisa è stato certamente un colpo inaspettato e difficile da comprendere ed affrontare: la prima domanda che si fa è se sia il caso di rimanere ancora in comunità. È proprio la primogenita a darle coraggio, dicendole: «Oggi il papà è andato da Dio, per noi è il giorno più bello. La meta è il cielo» e aggiungendo che, se il papà le aveva portate in comunità, quello sarebbe stato il luogo dove sarebbero cresciute.
Successivamente, sono state aperte altre case, in Brasile (Quixadà, Fortaleza, Feira) e in Bosnia (Međugorje). Attualmente, Luisa gestisce la comunità, Chiara, laureata in informatica, è il suo braccio destro, Francesca, laureata in medicina, lavora in comunità, mentre Miriam, laureata in architettura, lavora all’esterno.
Sandro Nottegar è attualmente venerabile ed è bello ricordarlo proprio in questi giorni perché la sua esperienza di vita e la sua docilità ai suggerimenti dello Spirito ci invitano ad un pensiero di speranza e di fiducia. Speranza che ciascuno, così com’è, nel luogo dov’è, è chiamato alla santità e all’annuncio del Regno di Dio, tramite la testimonianza della propria vita. Fiducia nella Provvidenza: nell’operosità quotidiana, non deve mancare la consapevolezza che Chi ci guida nelle nostre azioni è Dio e, se anche non comprendiamo qualcosa dei Suoi disegni, Lui, vedendo le cose da un’altra prospettiva, potrà sempre volgere in bene anche ciò che noi sperimentiamo come difficoltà e fatica.

“Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,4-7)

Non c’è una persona uguale all’altra, non c’è una prevalenza, nella Chiesa: tutti siamo chiamati a partecipare alla chiamata alla santità. Nella realizzazione personale che sia adempimento della volontà di Dio, risiede anche la collaborazione al compimento del progetto di Dio per la Chiesa, oltre che su di noi.

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La comunità di cui si parla nell’articolo è quella di Regina Pacis. Fondata da Sandro Nottegar, medico veronese e appartenente a una tra le prime famiglie missionarie, ne ha, però, a malapena visto la nascita, essendo morto pochi mesi dopo la creazione.
Per ulteriori informazioni ed approfondimenti sull’opera svolta, sul loro fondatore o sul loro carisma:
Regina Pacis

Fonte immagine:
Pixabay

Fonte:
Riflessione sui carismi

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