Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

spazio

Roba da far venire i brividi al Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, quello che in un giorno solo diceva d’aver visto tramontare il sole quarantatré volte. Samantha Cristoforetti s’è fermata a qualche numero in meno: 16 albe e 16 tramonti al giorno, dalla sua Stazione spaziale internazionale. Una cameretta con vista sulla Terra da 400 km di altezza sul livello del mare, ad una velocità di crociera di 27.600 km/h. Il mondo intero s’è fermato di fronte al genio di questa ragazza italiana cresciuta nelle valli trentine che, scarpe grosse e cervello fino, s’è messa a vagare per la terra e lo spazio alla ricerca di orizzonti capaci di saziarne la curiosità. Che le facessero provare l’ebbrezza d’essere viva dentro questo piccolissimo pianeta chiamato Terra: troppo angusto, troppo prezioso.
Ha infranto il record di permanenza di una donna nello spazio, stupito il mondo con la sua intelligenza, ha portato lo spazio dentro casa e ha allargato gli spazi di casa per ospitare i misteri del cielo. Ha mostrato quant’è vasto il mondo e ha prestato i suoi occhi al mondo per vedere quant’è esteso l’universo. Occhi di donna che, con il solo modo di guardare la Natura, hanno restituito all’uomo il gusto per l’eterno e le sue rocambolesche traiettorie. Facendolo sentire piccolo piccolo dentro le trame di quaggiù: «Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?» (Sal 144,3). Per chi, come me, di astronomia non se ne intende affatto, questi duecento giorni del capitano nello spazio hanno lasciato una cisterna di beatitudine nello sguardo. Lo stupore che, verso sera, mi coglieva nell’inabissarmi in quelle foto che Samantha mandava dallo spazio. Scatti della Terra mandati da chi, come lei, s’era alzata in volo e il nostro pianeta lo vedeva dall’alto. Immagini mozzafiato, quasi increduli che questo martoriato pianeta sia così bello da gustarsi da lassù: i grandi fiumi e le poderose montagne, l’Himalaya innevato e l’Amazzonia dagli alti fusti e dagli specchi d’acqua. Il Canada con i suoi laghi e l’Islanda con i suoi ghiacciai. Il silenzio poderoso degli oceani, le colorazioni misteriose delle acque, l’immensa vastità dei deserti che quasi chiedevano la voce per raccontarsi. Da lassù, Samantha ci rimandava l’incanto sublime della Terra. Di casa nostra.
La stessa che quaggiù, stretti e costretti da mille incombenze, disimpariamo ben presto a guardare, al punto da sbeffeggiarla: da scordarci che, prima d’essere un problema, il nostro pianeta è una sorgente di bellezza e d’armonia. Tra barconi che tracollano e stazioni invase, tra soluzioni di comodo e ululati alla luna, tra vigliaccheria e compassione era necessario che qualcuno s’alzasse in volo e ci ricordasse chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Dall’alto il mondo lo si vede tutt’intero e la sua interezza ci parla di diversità che convivono, di terre che si toccano, di fiumi che spandono vita. I medesimi elementi che, da quaggiù, sembrano arrecare invece solo fastidio e sospetto. Per questo ogni tanto qualcuno sale, attraversa l’esistenza in verticale: per ossigenarsi, per correggere gli orizzonti, per trovare la giusta misura del vivere. Poi capita come nelle vette alpine: dopo essere saliti, a cambiare non è la cima che è stata conquistata ma colui che ne ha raggiunto la vetta. Quasi che lassù fosse nascosto un segreto per coloro che avessero accettato d’incamminarsi, di andare oltre, di spingersi un po’ più in là. Dalla cima, poi, si potrà solo scendere: per raccontare, come nei Vangeli; per far avanzare il sapere, come nell’astrologia; per allargare gli orizzonti agli umani.
Erano scatti, poco più che semplici foto spedite dallo spazio all’ora della cena. Chi le ha gustate, avrà forse assaporato quant’è bella la Terra dall’alto: somiglia ad un mosaico. La vera riscoperta del capitano Cristoforetti.

(da Il Mattino di Padova 16 giugno 2015)

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