Come un notaio stavolta. Non bastavano forse tutte le raffigurazioni addossateGli finora: dal fare il tappabuchi, all’essere un distributore, al travestirsi da re quando dell’essere re non Gl’importava proprio un fico secco. Sembra proprio, insomma, che quel Volto di Bellezza più di qualcuno l’abbia confuso con un coltellino svizzero multiuso. Stavolta, fosse per qualcuno di loro, dovrebbe mettersi dietro una scrivania e diramare una questione familiare: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità” (liturgia della XVIII^ domenica del tempo ordinario). Te lo immagini? Con la toga al posto della veste senza strappo, con il registro al posto della sabbia dei Vangeli, a dividere le persone invece che a cercarne l’unione. Infatti Lui non ci sta e va giù pesante, anche se l’uomo che lo interroga è troppo piccolo per soffrirne la risposta: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” Che è come dire: “lasciami essere Amore, per cortesia”. L’altro, però, non capisce. E Cristo non può lasciarlo nel suo dubbio: anche lui è uno di quelli per i quali è venuto. Così riparte daccapo, da una di quelle mille storie che costellano i Vangeli.
“Vi sono poveri che son poveri perchè non furono mai capaci di guadagnare. Vi sono altri poveri che son poveri perhcè distribuiscono ogni sera ciò che hanno guadagnato la mattina. E quanto più danno tanto più hanno. La loro ricchezza – la ricchezza di questi secondi poveri – cresce sempre di più a misura ch’è data via. E’ un acervo che diventa sempre più grosso quanto più se ne leva.
Gesù era uno di questi poveri”
(G. Papini, Vita di Cristo, Firenze, Vallecchi, 210)
Quel giorno c’era un via vai continui di carri: forse era estate o giù di lì. Asini e buoi erano all’opera per portare il grano dai campi verso le aie dei granai. Forse c’era anche gente seduta sui bordi delle strade, o sugli usci delle case. Facile immaginare i loro commenti: “Chissà quanti soldi con quel grano. Se fossi io il padrone! Se avessi. Se vendessi. Se potessi”. Hanno ragione: mica era un disadattato quell’uomo: è un oche, probabilmente, con la terra ci sa fare, ha fiuto e intraprendenza, passione e amore. Mica lo condanna Gesù: la terra risponde con i frutti all’amore che il contadino le riserva. E’ che Gesù – beato Lui, ndr – non vede solo il carro con il grano, come tutti; vede anche ciò che sta pensando quel padrone: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni”. Come certi giorni dell’anno in paese: hai la sensazione che manchi pochissimo che la città, come una grossa nave, sciolga le àncore: uomini e donne si trasformano in formiche a trascinare nel loro buco quanta più roba sono capaci, e la sera della vigilia di qualche festa si faranno murare vivi nel formicaio e stuccheranno ogni fessura perché la felicità non scappi. Eccolo l’uomo ricco: somiglia a certe persone che, timorose di venire spiazzate, si fanno la domanda e si danno anche la risposta “Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!” Anche pagine addietro Gesù raccontò una storia simile. Ricordi quel giovane che chiedeva lumi sulla vita eterna? Gesù ne fiutò il talento e lo aiutò lanciandogli una palla formidabile: “Se vuoi essere perfetto (…)”. Coraggio, giovane. Fa’ uno scatto di reni, lanciati sulla palla. Prendi in mano la tua vita. Dimostra a te stesso che non sei il servo delle cose, ma il padrone, tanto che puoi farne ciò che vuoi, anche venderle, anche regalarle. Niente! Il giovane rimane di sale, immobile, completamente spiazzato come i portieri di fronte ai rigori di certi campioni. Eppure non basta: “stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la vita”. Fine del raccolto: una tempesta improvvisa, di quelle che il cielo rovescia inaspettate, quando ormai tutto era fatto, calcolato, pianificato. Ricco sfondato, invidiato e pasciuto; ma anche stolto. E sentirsi dare dello stolto da Lui, non dev’essere stato come vincere la Spiga d’Oro per il miglior raccolto.
Sugli stipiti della porta dell’eremo camaldolese di Monte Rua campeggia tutt’oggi una scritta: “quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?” (Mt 16,26). La leggi dopo una salita estenuante, col sudore ancora addosso e il fiatone che non smette. La leggi appena prima di battere sulla porta per farti aprire: quasi fosse stata messa lì come ultimo ammonimento, come un post-it urgente. Per apprendere la differenza tra la ricchezza e l’avidità. Tra il Tutto e il Nulla. Quasi una beffa in calce ad una vita da nababbo!