Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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È fantastico avere opportunità tecniche inimmaginabili fino a pochi anni fa. Tra queste, una è senz’altro quella di poter diagnosticare un certo numero di malattie, prima quasi del tutto sconosciute. E la diagnosi è, senz’altro, il primo passo per poter riuscire, un giorno, anche se magari lontano, a guarire le persone affette da queste sindromi.
Ma se la diagnosi è sinonimo di alibi per poter eliminare un essere umano difettoso, non conforme agli standard (quali, poi?), mi domando: è davvero questa la strada migliore da seguire? È questo l’approccio migliore, più antropologicamente corretto, che rispetta l’umanità dell’uomo?
Se la risposta è no, allora forse è almeno da prendere in considerazione l’opzione che la legge potrebbe anche non essere giusta, che non sia da applicare sempre e comunque solo perché è legge. Che c’è qualcosa di più nobile ed alto di lei, a cui essa altro non presta che un servizio. È l’uomo.
Se la legge dell’uomo non lo rispetta, perché presentarla con tanta sollecitudine come esempio, perché considerarla fondamentale.
No, non sono argomentazioni astratte. Si basano su di un fatto molto preciso. Che riguarda una persona. Che, come noi tutti, ha un nome ed un volto.
A Maggiore di Parma, il giorno di Natale, è nato un bambino. Probabilmente, non è certo l’unico bambino ad essere nato quel giorno, né nei giorni successivi. Ma c’è un dettaglio. Bryan è nato senza le gambine, dal ginocchio in giù. E ora i genitori chiedono i danni all’ospedale, per non aver fatto un’ecografia morfologica, esame diagnostico che, con ogni probabilità avrebbe permesso di identificare anomalie come questa.
Sottotitolo: per terminare la gravidanza. Altrimenti, non si capisce perché chiedere un risarcimento danni.
il problema è esattamente quello. Il bambino non è conforme alle attese. Basta questo, ormai, a far sentire defraudati.
Intendiamoci, senza dubbio, ogni disabilità comporta in sé disagi e – inutile nascondersi dietro un dito – anche oneri finanziari, quasi inevitabilmente, maggiori, rispetto ad un figlio “perfettamente” sano. Correlata ad ogni problematica di tipo fisico, senza dubbio è da aggiungere la necessità di un’overdose di tempra morale per far fronte ad ostacoli inimmaginabili per il resto della popolazione.
Ma qual è, esattamente, il concetto di “perfettamente” sani? Quale la percentuale di “danno” che può essere considerata accettabile? O c’è “tolleranza zero”?

Non giudico le scelte personali e faccio il possibile per comprendere le mille e una ragioni per cui una notizia del genere possa causare, nei genitori, confusione, turbamento, persino rifiuto. Ma è questa mentalità ad essere pericolosa. Perché instilla il dubbio che, sostanzialmente, ci sia una scala nel valore della persona, che è legata alla sua integrità ed efficienza fisica. Perché porta a concepire il figlio non come un dono, ma come un diritto: come tale, allora, mi aspetto che sia bello, sano, fisicamente perfetto e completamente conforme ai miei desideri.
Un figlio così, in realtà, non esiste. Il vero miracolo è che il figlio è sempre una persona completamente – altra, rispetto ai genitori e, pur somigliando in alcuni tratti fisici e caratteriali, essi imparano a poco a poco a conoscerlo, ma, nel momento in cui lo prendono in casa, iniziano ad ospitare uno sconosciuto. Uno sconosciuto per cui darebbero la vita. Spesso, si tratta della relazione più importante che un uomo od una donna instaurano nell’intera vita, anche più duratura di quella col partner. Talvolta no: talvolta capita persino che il “miracolo” naufraghi e qualcosa spezzi questo legame viscerale.
Ciononostante, è comprensibile il desiderio di avere il meglio, per il proprio figlio, motivo per il quale, naturalmente, chiunque preferirebbe un figlio sano ad uno malato. Ma può la malattia diventare identificante, togliendo dignità alla reale essenza di chi ne è affetto?
Una disabilità non è – necessariamente – un marchio a vita o una condizione – del tutto – insanabile. E – certamente – non si può pensare che sia condizione sufficiente ad impedire, a chi ne è affetto, l’esclusione dalla possibilità di essere felici.
Basti pensare ad un precedente illustre, come Nick Vujicic. A lui mancano del tutto gli arti, sin dalla nascita. Attualmente, è un predicatore evangelico ed uno speaker motivazionale austrialiano (di chiare origini balcaniche), ha 34 anni, una moglie bellissima (veder per credere!) e due figli. Lui per primo, probabilmente, non si sarebbe mai aspettato tutto ciò, visto che, durante gli anni dell’adolescenza, soffrì di depressione. Nessuno vuole negare la realtà. La disabilità può causare sofferenza e sicuramente crea problematiche in più. Ma la vita non è mai semplice. È solo un’illusione pensare che nascere sani sia assicurazione bastante a trovare la felicità.
Ci sono mali interiori che dilaniano persone “apparentemente” perfette. E ci sono persone con grandi sofferenze, in grado di distribuire sorrisi sinceri a chiunque le incontri.
L’essere umano è troppo complesso, perché si possa pensare che basti l’integrità fisica a garantire una vita piena e soddisfacente.
Soprattutto, la questione fondamentale è profondamente legata al bambino stesso. Ammettere che un simile errore medico comporti un risarcimento equivale a dire che il valore di una persona è proporzionale alla sua salute. Conseguentemente, mano a mano che essa è mancante, tale valore cala.Cosa dovrebbe pensare, secondo questo modo di pensare, chi ha una malattia degenerativa? Che sta, progressivamente, perdendo la propria “qualifica” di essere umano? Questo dovrebbe significare la possibilità di arrivare a non esserlo più, ad un certo momento. Il che, spero ne convengano tutti, sarebbe abbastanza assurdo, perché comporterebbe la possibilità che si possa passare dall’essere al non essere uomini.
Pensando poi al futuro, cosa potrebbe pensare un figlio che viene a scoprire che i suoi genitori hanno chiesto di essere risarciti per quella nascita? Un bambino, come un danno da risarcire e non come un nuovo sorriso da festeggiare, una nuova nascita, da condividere coi vicini. Come a dire che non tutti sono benvenuti allo stesso modo su questa terra; alcuni sono tollerati a malapena, se non sono abbastanza efficienti.
Come ben sottolinea Michele Brambilla:

Siamo sicuri che questo bambino un giorno dirà: «Sarebbe stato meglio se non fossi mai nato?». E siamo sicuri, insomma, che questa è una storia da trattare come un caso di cronaca giudiziaria?
Io, ripeto, non giudico nessuno, tantomeno i genitori. Ma non vorrei che un giorno a questo bambino venisse detto: ecco, una sentenza ha stabilito che la tua nascita è stata un danno da risarcire; che tu stesso sei un danno. Siamo sicuri che questo gli farebbe meno male della mancanza delle gambe? Io no. Io so soltanto che a Parma è nato un bambino. E ha molte cose da insegnarci. 

 


Fonti

La Gazzetta di Parma

Nick Vujcic – life without limbs

 

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