Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Quanto vale la libertà? Domanda impegnativa, se si tratta di rispondervi in modo astratto, che rischia però anche di essere aleatorio e, forse, persino un po’ superficiale. Perché a parlare di libertà coi piedi dentro le pantofole sono buoni tutti. Rimane un po’ di filosofia da masticare dopo i pasti, per tenere sveglio il cervello e ripassare i grandi classici del pensiero.
Libertà è usualmente intesa come volontà, e possibilità, di scelta del singolo. Libertà, che si va cercando da secoli, ma che sembra fuggevole, come sabbia tra le dita. Perché, nonostante i proclami, chi può reputarsi veramente libero? Tralasciando la visione marxista (che vede in tutto ciò che ci circonda una sovrastruttura) oppure quella freudiana, che relega il tutto dell’esistenza ai propri istinti, è pur vero, tuttavia, che essere veramente liberi è difficile. Possiamo magari combatterli e perfino vincerli, ma è fin troppo evidente che i condizionamenti siano presenti dal primo momento in cui ci alziamo al mattino: possiamo andare oltre, possiamo decidere che non ci interessa davvero, ma non possiamo evitare di pensare a come, banalmente, gli altri pensino a noi. Ci domandiamo se siamo una figura vincente oppure no. Siamo consapevoli dei nostri limiti, ma siamo anche disposti a scendere a qualche piccolo compromesso, pur di essere accettati; soprattutto, quando, attraversando la fase dell’adolescenza, diventa particolarmente importante il nostro essere parte di un gruppo.
Ecco, allora, che le nostre certezze, all’inizio granitiche, vacillano e palesano la fragilità della libertà. Ci riteniamo liberi, ma forse non lo siamo davvero. Se possiamo sembrare liberi, ma non esserlo davvero, allora può essere vero anche il contrario. Si può essere dietro le sbarre, ma sognare di libertà, guardando un bosco al di là di esse, a maggior ragione se si è innocenti e si anela a dimostrarlo.

Tuttavia, se scendiamo nel concreto e prendiamo un esempio non solo realistico, ma reale, tutto acquista un altro sapore. Che cos’è la libertà, agli occhi di un innocente, finito dietro le sbarre, per un crudele gioco per cui l’unico obiettivo era trovare dei colpevoli, non i veri colpevoli?
Andiamo con ordine.
Nella notte del 27 gennaio 1976, ad Alcamo Marina (Trapani), all’interno di una stazione dei Carabinieri, due carabinieri –  il diciannovenne Carmine Apuzzo e l’appuntato Salvatore Falcetta -sono assassinati a colpi di arma da fuoco. Inizialmente, varie ipotesi sono state prese in considerazione, dalla mafia al terrorismo. Successivamente, sono ritrovate due calibro 9, come quelle in dotazione all’Arma, con il numero di matricola forato, nell’auto di Giuseppe Vesco. Questi accusa alcuni giovani del posto quali suoi complici, tra cui Giuseppe Gullotta. Qualche anno dopo,  Vesco si suicida in carcere. Con Gulotta, anche gli altri accusati, i due latitanti Giuseppe Ferrantelli e Gaetano Santangelo (all’epoca minorenni) e Giovanni Mandalà sono stati assolti tra il 2012 e il 2014, dopo le rivelazioni del brigadiere Olino, che ha sottolineato che le confessioni dei ragazzi non erano state spontanee, ma estorte tramite vere e proprie torture . Negli scorsi mesi, Gulotta ha ricevuto un consistente indennizzo (6,5 milioni di euro) per 22 anni di carcere da innocente e 36 di calvario giudiziario per dimostrare la propria innocenza: a fronte di una vita andata in frantumi, di traguardi divenuti chimere, di giorni sempre uguali vissuti tra quattro mura, nella certezza di essere innocente, potrebbero essere considerati pochi. Del resto, però, chi può stabilire il prezzo di una vita? Intanto, quei soldi saranno utili, non solo a lui, ma anche alla fondazione da lui fondata, che si prefigge, grazie ad un proprio staff di avvocati ed esperti, lo scopo di fornire, alle persone ingiustamente condannate, la possibilità avviare la procedura di revisione processuale.
«Non sono arrabbiato con nessuno, sono solo amareggiato per quella giustizia che, a volte, non indirizza l’attenzione verso i veri colpevoli…» sono le parole che ha rilasciato Giuseppe Gulotta in un’intervista (Eco di San Gabriele): nella medesima intervista, si mischiano il rammarico per non aver potuto veder crescere ed essere presente per il figlio William e la gratitudine per la vicina della moglie Michela e delle figure di diversi uomini di chiesa che, a Trapani ed in Toscana, si sono presi cura di lui e della sua famiglia, compresi i tre ragazzi della moglie, avuti da un precedente matrimonio.
Dalle sue parole, viene infine una lezione da tenere a mente, per sempre, per ricordarci che, quando si sbaglia, a sbagliare è sempre uno solo, mai, per nessun motivo, un’intera categoria:«Non ce l’ho con i carabinieri. Solo alcuni di loro hanno sbagliato in quel momento. Mi hanno puntato una pistola e mi hanno detto “confessa o ti uccidiamo”. Bisogna credere nella giustizia: e oggi è stata fatta una giustizia giusta. Dovrei ringraziare il brigadiere Olino. Le sue dichiarazioni hanno permesso di riaprire questo processo e di dimostrare la mia innocenza. Però non riesco a pensare che anche lui ha fatto parte di quel sistema».


GIUSEPPE GULOTTA – per un approfondimento della sua vicenda

Strage di Alcamo Marina
GoNews: Giuseppe Gulotta, Sono innocente, la vicenda giudiziaria
Il fatto quotidiano: una vita in carcere da innocente, la storia di Giuseppe Gulotta
Tempi: storia di Giuseppe Gulotta, assolto dopo ventuno anni di carcere
Cronache Salerno: Giuseppe Gulotta, quando la libertà non ha prezzo
TP24: Cronaca, Firenze – presentata la fondazione Giuseppe Gulotta

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