Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Anti-agingÈ di qualche giorno fa la notizia che Julia Roberts rischi la disoccupazione per non essersi sottoposta a chirurgia estetica, come la maggior parte delle sue colleghe. Ha ormai superato i 40 anni, ma si ostina a rimanere “al naturale”, asserendo di voler rappresentare un modello di “donna che invecchia”. Rivela tuttavia che questa scelta non è affatto pacifica, dal momento che è la stessa industria cinematografica, se non ad imporla, quanto meno a suggerirla caldamente alle attrici che superano i quarant’anni.
Questo spiega perché in tante cedano, per altro, non sempre con risultati brillanti. Forse proprio a testimonianza che, a forzare eccessivamente la mano sulla natura, in ogni campo e settore, il rischio sia sempre lo stesso: ottenere disastri enormi, sotto ogni punto di vista!È buffo rilevare che proprio Hollywood, ambiente in cui tanti hanno ‘messo la faccia’ per migliorare la condizione femminile a livello mondiale, possa esercitare pressioni di questo tipo che lasciano trasparire come, dietro la facciata, sopravviva ben poco dei principi che abitano quelle battaglie di civiltà!
È assolutamente necessario partire da un paio di premesse, prima di spiegare e analizzare le motivazioni per le quali non è possibile conciliare gli interessi umanitari apparentemente volti all’emancipazione femminile, con questi comportamenti, che denotano una sostanziale visione “povera” delle potenzialità femminili.

Innanzitutto, preciserei che è ottima e lodevole l’iniziativa di promuovere la condizione femminile, con la diffusione della scolarizzazione e di strutture sanitarie adeguate che consentano, tra le altre cose, l’accesso indiscriminato all’istruzione e la possibilità di parti sicuri.
Secondariamente, la ricerca della Bellezza è inscritta nell’animo umano e non è assolutamente una cosa negativa, anzi! Ma se la donna è reificata nella sola immagine che essa proietta di sé verso l’universo maschile (per altro, decodificato solo ed unicamente tramite un canone estetico rigidamente univoco), la concezione della donna è evidentemente svilita.
Per trovare coerenza tra pensiero ed azioni, occorre innanzitutto ritrovare o ricreare armonia nel pensiero, perché è evidente che promuovere la condizione maschile nel Terzo Mondo e poi promuoverne implicitamente lo sfruttamento, mascherato da emancipazione, non ha altro nome se non controsenso di principi.
Purtroppo, guardando con occhi disincantati, pare evidente che tante ‘libertà di scelta’ si rivelano scelte coatte, prepotentemente condizionate da una cultura libera solo in apparenza, che però poi veicola poi come moralmente superiore il pensiero della maggioranza (dell’élite culturale, ovviamente). Questo si ripercuote su molti aspetti. Esempio lampante lo abbiamo con l’aborto: spacciato come diritto femminile, è impossibile far notare come, prima di parlarne in questi termini, sia fondamentale sottolineare le conseguenze psicologiche post aborto sulla gonna: un tale pensiero è immediatamente scartato come retrogrado e poco empatico.
Lo stesso procedimento avviene, ovviamente, rispetto alla chirurgia estetica. Questa è unanimemente accettata e accolta, in quanto visto come strumento per migliorare la propria autostima e il proprio benessere, per cui è anzi vivamente consiglia come “terapia per volersi più bene”. Di fronte a queste motivazioni, chi confessa la propria opposizione a tale scelta, per i motivi più svariati, rischia innanzitutto di essere tacciata di scarsa sensibilità nei confronti di chi decide tale scelta. A questo riguardo, mi viene da pensare che si sia arrivati al punto che, per una malintesa sensibilità, non è più possibile valutare serenamente e “oggettivamente” scelte e tecniche, perché tali valutazioni andrebbero ad offendere chi le sceglie. Questo atteggiamento, ipocritamente liberale, porta in realtà, alla moltiplicazione dei tabù: non si può essere contrari alla liposuzione perché qualcuno la sceglie, non si può essere contrari all’uso di botulismo, perché qualcuno, dopo averlo usato, si sente più sicuro di sé. Liberi di fare tutto… ma di pensare, quando?
Ogni tanto ho il forte dubbio che, a furia di voler tutelare tutti, in realtà stiamo rovinando intere generazioni, che stanno rischiando in modo piuttosto deciso l’atrofizzazione del cervello, essendo l’organo di cui è imposto l’utilizzo con la maggiore moderazione possibile!
So bene che tanti dubitino persino del fatto che Julia Roberts non abbia già ceduto alle lusinghe di Hollywood al riguardo; del resto, a causa della riservatezza di tali informazioni, che ricadono nella sfera della privacy, non è possibile stabilire con certezza la verità. In questa sede, tuttavia, credo diventi una scoperta, tutto sommato secondaria.
Questo episodio è importante perché mette in evidenza un’incongruenza di fondo che non può e non deve passare sotto silenzio.
Ci vantiamo della nostra cultura emancipata, che ha reso le donne più libere, ma le ha, in realtà, spesso mercificate, senza mezzi termini, se non costringendole, quanto meno spingendole a considerare il proprio corpo come la merce di scambio più ambita, e che valesse quindi la pena di utilizzarla come lasciapassare per ottenere lavori più prestigiosi: come non giustificare un comportamento tale, in tempi di crisi?
La realtà è che, prima di ogni condanna morale per un comportamento simile, è la vita stessa a condannarti. Una donna si accorge se è usata: il senso di vuoto pervade chiunque sceglie o subisce la scelta diventare un mero involucro che, per quanto bello e attraente, possiede pur sempre un fascino strettamente legato al tempo e il cui prezzo digrada piuttosto velocemente, in modo proporzionale con il normale avanzamento dell’età.

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Ma può essere accettabile, per una donna, tutto ciò? Lasciare che il valore integrale della propria persona, di per sé infinito, sia riducibile alla sua apparenza fisica e, in particolare, alla possibilità di rispecchiare un canone preciso e ben al di là della realtà?
È infatti evidente che sia del tutto sganciato dalla realtà un canone che preveda una donna con forme perfette, seno prosperoso, pelle giovane, indipendentemente dalla sua età.
Questo è normale fino ai 30 anni circa? Dopo, che si fa? O si ricorre alla chirurgia estetica o si augura qualche morte traumatica in giovane età, per chiudere in bellezza?
So che sembra eccessivo, ma in realtà proprio in questa provocazione risiede il motivo profondo, probabilmente inconscio, dell’inseguimento della bellezza senza rughe: è la paura della morte, che non vorremmo mai trovare sulla nostra strada, né su quella dei nostri cari, e che rifiutiamo nel modo più risoluto, che ci fa rigettare tutto ciò che ci ricorda che ci stiamo avvicinando a lei (per quanto dolore potrà riempire la nostra vita, essa non perderà il suo fascino, per cui, di fronte alla morte, senza una prospettiva di speranza nell’aldilà, è inevitabile che l’unico orizzonte possibile sia della disperazione di fronte ad una fine che priva di senso quanto vissuto fino a quel momento).
Siccome questo canone di bellezza è assolutamente irreale, perché non tiene conto di una componente fondamentale, che non può essere dislocata dalla vita non solo di ogni essere umano, ma di voi essere vivente: il tempo.
Accogliere la realtà, con tutte le sue componenti, è l’unico vero modo per trovare la serenità e cogliere appieno le opportunità (e la bellezza!) che possiede ogni stagione della vita. E, forse, in questo, siamo aiutati dalla possibilità di condivisione con chi si ama del tempo che passa e che ci trasforma: in questa prospettiva, possiamo scoprire che, com’è bello crescere insieme durante la giovinezza, c’è una bellezza anche nell’invecchiare insieme e prendere consapevolezza di sé, anche attraverso i propri limiti e il proprio corpo che cambia!

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