Un bicchiere d’acqua frizzante sul tavolino. E i campanaggi dell’alpeggio sullo sfondo a fare da colonna sonora. Tra i due, lei: Irene Grandi, rocker fiorentina, classe 1968, da diciassette anni sulla cresta dell’onda. In un mondo tendente ad essere oversize (“sovrappeso”), la sua femminilità dolce e aggressiva tiene i lineamenti grintosi, rabbiosi e sinceri di chi sa di vivere in un mondo dalle alterne previsioni: che costringe a tenere i piedi per terra. Nonostante il nome sia pesante e nella cassaforte ci sia qualcosa come un milione e mezzo di dischi venduti, la sua storia serba fiera una lunga gavetta: perché il genio – come scrisse Thomas Edison (1400 brevetti al suo attivo) – è uno per cento ispirazione e novantanove per cento sudore. In tutti i campi.
Cerca le parole con le mani, le accarezza con la musica, le canta con il cuore: forse per questo in lei si rispecchia lo studente appassionato che canticchia “In vacanza da una vita”, la mamma indaffarata che ritma il bucato al suono di “Bum Bum”, il professore di astronomia che sistema il telescopio sulle note de “La cometa di Halley”, il pittore che prepara la tela fischiettando “Verde Rosso e Blu”. Al settimo disco in carriera – “Alle porte del sogno” – è con l’entusiasmo, l’ottimismo e la solarità che la cantante toscana affronta il tema delle emozioni, della ricerca dell’armonia e della felicità: perchè la vita – come ci racconta nell’intervista – è tutt’altra cosa dall’abitudine. Quell’abitudine che le sue canzoni condannano quando vorrebbe camminare sopra la poesia.
Donna coraggiosa e solare – fin quasi all’irriverenza – sulla musica sale per osare strade inedite, tentare accordi freschi, accendere passioni vergini nelle migliaia di fans che s’accalcano ore prima del suo arrivo. I detrattori generalizzano il “fenomeno Grandi” riducendolo al tema dell’amore: i suoi conoscitori ne ammirano la voglia di esplorare anche i grandi temi dell’esistere: l’inesorabile trascorrere del tempo, la lotta contro il dolore, il grande mistero dell’uomo e del suo essere sulla terra. In un’epoca fatta su misura per stelle cadenti e ostile alle comete luminose, non si può non riconoscere il suo lato combattivo, il suo percorso inedito e sempre attento a cercare tracce colorate – magari meno remunerative – ma che le permettono di rendere vivaci e accese le sue canzoni.
Può piacere o non piacere. Siamo tutti dentro l’evoluzione della specie.
Una domanda “creativa”: come fanno a nascere le canzoni nell’animo di un’artista come lei? C’è un segreto, un trucco, un elisir?
Penso che ogni canzone tenga una sua storia e una sua genesi. Le mie canzoni possono anche nascere per caso: fischiettando una melodia in mezzo ad un prato, prendendo spunto da un titolo di giornale, da una frase strappata alla lettura, da una cellula melodica che scopro contenere delle parole. E ti ci butti dentro fino a lasciarti portare da esse. Per poi scoprire che dietro ogni parola ce ne sono molte altre che stanno per spiccare il volo. E, così facendo, t’avvicini un po’ all’idea di un puzzle. Un artista lavora con l’ispirazione. E quando essa viene a mancare, la canzone si blocca. Scrivere una canzone è laborioso perché devi partorire qualcosa che sia appetibile ad un pubblico più vasto di te stesso, sopratutto che si capisca: il testo potrebbe essere bello, ma senza un filo logico. Oppure il contrario: il discorso non suona bene ma il senso è bello. A volte mi capita di cantare canzoni scritte da altri autori: magari ad esse aggiungo una parola, o ne correggo un’altra. Perché ciò che canto deve sposarsi perfettamente al mio mondo. Diciamo che attraverso le canzoni personalizzo il mio mondo lavorandolo dentro un “laboratorio”.
Oggi un po’ tutte le grandi istituzioni – chiesa e politica in primis – stanno soffrendo una grossa e disagevole crisi di linguaggio: le parole che loro usano non riescono più ad accendere qualcosa che le renda rilevanti in coloro che le ascoltano. L’artista sembra essere rimasto l’unico a saper usare tale strumento.
A me piace pensare una cosa: la necessità di morire per rinascere, di cambiare in continuazione per mostrare il lato positivo e creativo del cambiamento, l’insensatezza di fossilizzarsi su cose o, peggio ancora, su pensieri consunti. Penso che l’artista appaia ancora fashion perché non ama dettare dogmi o verità: l’artista cerca di far ragionare le persone proponendo una strada, additando un possibile modo per arrivarci. Io non sono una di quelle persone che dice: “questo è così”. Mi piace coinvolgere le persone mostrando loro che ogni situazione è inedita e, quindi, passibile di nuovi tentativi.
Con il sogno di trovare un giorno la verità.
Una domanda evangelica divenuta proverbiale: “Che cos’è la verità”?
Rimango coerente anche stavolta. Mi piace pensare alla verità usando un’immagine di un saggio che amo spesso ripetermi: la verità è una terra senza sentieri. Io sono una persona positiva, mi piace scendere nelle profondità delle cose, mi piace contemplare il mondo dal versante dell’evoluzione. Non amo i dogmi: ma cerco la verità che possa rendermi felice.
Ai tempi di Platone nella città ideale non c’era posto per artisti e poeti: troppo pericolosi. L’Italia è come la Repubblica immaginata da Platone?
L’artista, per sua natura, non può andare d’accordo con chi propugna la mancanza di libertà del pensiero e, attualmente, in Italia il quadro culturale non è dei migliori. Anche il teatro sta attraversando un momento difficile. Però rimangono piccole realtà che ci tengono a tener vive le loro tradizioni con manifestazioni culturali, artistiche, di pensiero. D’altronde, se si aspetta che sia l’istituzione a favorire l’arte, difficile trovare il pane. Oggi il segreto è quello di ieri: rimboccarsi le maniche.
Sette cd al suo attivo, canzoni scritte per lei da Jovanotti e Vasco Rossi, la partecipazione al “Pavarotti & Friends”, la nomina di “artista femminile dell’anno” nel 1999, la sua voce in favore dell’Abruzzo terremotato, un milione e mezzo di dischi venduti. Come si può rimanere semplici?
Per il semplice fatto che quei dischi non li ho venduti tutti su un colpo! La carriera di un artista è un viaggio che chiede creatività e pazienza per essere percorso. Non è una cosa che si auto-produce in automatico. La nostra vita chiede un continuo rimettersi in gioco con fantasia: in questo modo nemmeno t’accorgi del successo che ti piomba addosso perché entri in una situazione così profonda che non hai nemmeno il tempo di montarti la testa.
In una sua canzone racconta che “anche in Giappone i ragazzi si baciano sui motorini davanti alle scuole”. Perché “tutto il mondo è paese”. Gli occhi di un artista cosa vedono di questo mondo giovane così spesso alla cronaca?
Mi sembra di contemplare una medaglia a due facce: da una parte vedo un mondo giovane in una situazione di difficoltà, forse complice questa comunicazione digitale che non mi convince molto. Allo stesso tempo m’incoraggia l’altra faccia: quella che mi testimonia la riscoperta di valori che negli anni ’80 – ’90 non interessavano a nessuno: l’ecologia, le vacanze alternative, passioni e hobby legati più che in passato ad una certa etica. Ed un insieme di pensieri che comprende anche la spiritualità. Mi sembra che al di là della crisi della Chiesa e di tutte le altre istituzioni religiose, ci stia una riscoperta della trascendenza perché ci siamo accorti che, nonostante tutto il progresso, non abbiamo in mano la felicità. C’è, quindi, un riaffezionarsi alla meditazione, al pellegrinaggio, alle pratiche yoga: quasi un cercare un fiammifero per guardarci dentro (che è anche il verso di una sua canzone).
Il successo: genio o sudore?
Entrambi, non riesco a trovare una prevalenza. Per quanto riguarda la mia storia ho iniziato certamente per aver scoperto di possedere dei talenti. Ma quelle qualità so di averle perfezionate con il sudore. Perché anche i talenti, come i muscoli, vanno allenati.
Chi è Irene Grandi?
Una cantante. (poi guarda all’orizzonte, pensa e aggiunge). Ma non solo.
Le mucche se ne stanno ancora solitarie al pascolo. Fra poco il contadino tornerà a strappare il latte dal loro seno copioso. Tutt’attorno profumo: del fieno, della polenta, dei ciclamini. Ma anche il profumo di parole che, lavorate con la precisione dell’artigiano, diventano musica. Per accendere il gusto della vita.