Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

torrecampanaria.jpgE’ l’ennesimo figlio suicida a smuovere le pigre campane di Calvene. Pure il Geremia profeta venne rapito dalla disperata nebbia e dalla nebbiosa rabbia d’avvistare lontano il suo Dio. L’identico Dio che l’avea rapito per possederlo, addestrarlo e lanciarlo. Scompaginando una giovinezza bistrattata dall’umana erudizione: “Se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Perché ci hai colpito e non c’è più rimedio per noi?” (Ger 14). Voci rauche di profeti che allacciano grida disperate nel cielo del nostro vivere. Sotto il cielo di Auschwitz mentre il Suo popolo finiva nelle camere a gas del Terzo Reich, nella torturata terra del Kosovo e del Burundi, nel silenzio olimpico del Tibet lontano. Ma anche nella quiete sopra un campo di battaglia, nell’inspiegabile curva di un figlio che a vent’anni ti dice addio. Nel bimbo che non nasce. Che nasce morendo. Che muore nascendo. Nella sconsolata follia di chi distrugge: per gioco, per scommessa, per folle e disastroso azzardo. Nella tribolazione barbara di un bimbo, nello strazio di un giovane padre, nell’apatia stancante del vecchio. Sbraitava il Geremia che su Dio avea posato freschezza, incoscienza e inventiva. Grida l’uomo che nel frastuono non intende più la voce di Dio. O non vuol intenderla. Ma grida lo stesso. Sulle ali di parole musicate dal Vecchioni poeta e cantante: “Ma che razza di Dio c’è nel cielo?” Che razza di Dio c’è lassù se chi bussa non ha risposta, se chi grida non viene dissetato, se chi inciampa non si rialza? Perché quella curva e quel fossato, quel gesto e quel silenzio, quel viso e quel cappio? Quella storia, quell’odore, quelle lacrime? Perché c’avvertiamo stelle sbagliate nell’immensa perfezione di un firmamento vestito a festa?
Il contatto Dio l’ha giurato. A tempo indefinito: fino alla chiusura del mondo. In sembianze materne, paterne, di delicata premura. Assestato il tempo e lo spazio, un unico problema permane: la questione del volto. Come quella volta sul Sinai. E’ lapalissiano: non è sempre bello il viso che Dio tiene. Ma si presenta: alla fedeltà, dunque, non manca. E nemmeno alla tenerezza è bocciato: perché anche nei meridiani terrestri incroci padri che lasciano cadere bimbi perché conoscano l’equilibrio. C’è Dio, ma l’uomo non lo vede. Non lo tocca. Lo va cercando. Non capendo, magari, che va braccando il Dio di “donna Prassede” che, per comfort esistenziale, rimpiazzava sovente i pensieri del cielo con i suoi.

Ma che razza di Dio c’è in cielo? Ma che razza di uomo c’è in terra?

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