Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

nebbiaOrmai non ci rimane che contemplarli allo sbaraglio. Gettati dentro la mischia, forti di qualche strategia di allenamento memorizzata nelle lunghe annate del Seminario, arditi come atleti di razza all’esordio di una grande manifestazione. E che manifestazione, signori: la battaglia tra il Bene e il Male, tra la Verità e la Menzogna, tra il Regno di Dio e quello di Mammona. Qualcuno, assai avvezzo alle statistiche, dirà che cinque preti sono pochi per una Diocesi come la nostra. Qualcun altro, magari oriundo di terre lontane, si stupirà del gran numero. Chi di Dio conosce le logiche e gli imprevisti sa che cinque preti non sono né pochi né tanti ma sono semplicemente quelli giusti. Colpisce la loro sana incoscienza d’abbandonare tutto per seguire il suo Sguardo: terre e arnesi, sogni e desideri, lavoro e fantasia. In tempi di crisi l’incoscienza viene messa in soffitta per non arrecare danni ulteriori, eppure qualcuno sceglie il punto più difficile della crisi per scattare e partire. Come lo scalatore attende la pendenza massima per firmare lo scatto e iniziare ad avvicinarsi alla vittoria.
Loro sanno già tutto della Chiesa e del Mondo: gli anni del Seminario a ciò sono adibiti. O, perlomeno, lavorando con gli strumenti possibili si cerca di affinare loro l’animo e le vedute per non farsi spiazzare poi dai contraccolpi delle strade. “Spiazzare” è un verbo ostico tra il gregoriano e l’incenso perchè dice il rischio, la follia, l’irrisa ingenuità. Chi spiazza lascia di stucco, costringe a riprendersi, incita all’assalto. Se si può è sempre meglio sostituire tale verbo con dei sinonimi che tengano meno esplosivo tra le sillabe: “mantenere, firmare, portare, stare, abitare”. Anche l’uso dei verbi nella Chiesa è importante: c’è chi ama usare i verbi transitivi (che dicono sicurezza) e chi quelli riflessivi (che dicono la capacità d’interrogarsi). C’è chi usa parole colorate, vivaci e pericolose e chi ama trastullarsi all’ombra della dogmatica che non ammette sfumature. C’è chi pensa al Regno di Lassù come ad un qualcosa di schematico, razionale e logico e chi se lo immagina a tinte giovani, spumeggianti e appassionate. Loro sanno già cos’è la Chiesa: sarà bello vedere il loro volto ai primi di novembre – quando pure la nebbia si metterà di mezzo per offuscare le visuali – quando sperimenteranno lo scarto enorme che intercorre tra la Chiesa che hanno studiato sui libri e quella che abita in mezzo ai quartieri: povera, polverosa, infangata, profumata di ferite e odorosa di santità feriale. Troppo bella per tradirla al cospetto di quella appresa tra i banchi della teologia. Il più grande di loro ha già varcato il mezzo secolo di vita (don Roberto Balzan da Calvene): non gli si potrà certo rimarcare che non conosca le leggi che regolano l’amore, le fabbriche e le stagioni. Tra di loro c’è anche la giovinezza più fresca: per ricordarci che i giganti che tanto intimoriscono tutti, a volte i piccoli Davide se li mangiano leccandosi i baffi. C’è tutto per partire: paura compresa.
Al mio paese c’è la casa di un pittore. Duecento metri più avanti c’è la casa di un imbianchino. Il primo passa giorni senza mai uscire, il secondo lo vedono sempre caricarsi di bidoni di colore e svuotarli usandoli. Ma nessuno al mio paese è così maleducato da rinfacciare al pittore che nel mentre lui dipinge tre centimetri quadrati l’imbianchino ha dato il colore ad una contrada intera. Anche tra di loro ci sarà qualche prete-pittore e qualche prete-imbianchino: l’importante sarà ricordarsi che nella Chiesa c’è chi sa fare bene una cosa e chi sa farne bene un’altra. Solo chi mormora dimostra di non saper fare nulla: ma di questa Chiesa parleremo un’altra volta. Perchè questo è il giorno del grande grazie: ad un Dio che, nonostante tante cose, ci commuove con cinque storie di sacerdoti.

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