Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

dopingE anche l’iride s’infangò dell’infame sospetto del doping. Un’altra bufera s’abbatte nell’universo sportivo del ciclismo italiano gettando sotto i riflettori due apparenti gioielli dell’orgoglio nazionale: la maglia rosa di Damiano Cunego e quella iridata di Alessandro Ballan. L’ennesimo schiaffo inferto alle migliaia di tifosi che affollano e costeggiano i bordi delle strade dove transitano i corridori. Ultimi di un elenco sterminato di ferite recapitate alla memoria dello sport.
Di fronte a tutto ciò possiamo ancora parlare di un’etica sportiva da presentare nelle scuole, nei campi da gioco, nelle palestre dove si formano e s’allenano i piccoli talenti a diventare degli uomini in grado di giocarsi la vita da protagonisti? Quando Barthes, scrittore francese, scrisse il celebre libro “I miti d’oggi” paragonava lo scatto atletico ad un impulso che gli dei infondevano nei corridori a loro cari per far compiere loro prodezze sovrumane. Per lui drogare il corridore era così criminale e sacrilego da lasciar trasparire l’idea di voler imitare Dio rubandogli il privilegio della scintilla: già nella famosa pianura di Babele rimase un pugno di polvere come ammonimento per i secoli futuri. Come raccontare, dunque, la bellezza dell’allenamento, di un record da migliorare, di una strenua lotta da ingaggiare per graffiare il traguardo, del superamento di un limite datato se poi per cantare vittoria non basta più il verdetto del traguardo ma si necessita delle analisi di laboratorio, delle ovvie contro-analisi e delle ingenue affermazioni rilasciate da chi osa ancora fare il furbo nonostante la vergogna abbia già oscurato tanti presunti campioni?
La gloria accende l’eroismo ma tiene anche la forza di accecare la mente dell’atleta perchè vincere è relativamente facile grazie all’effetto sorpresa. Ma confermarsi è la dura gavetta che fa di un apprendista un maestro della vittoria. Gli esperti riconoscono la presenza del doping in tutta la storia dello sport: l’aggravante d’oggi è che la gente non viaggia più nell’ignoranza dei concetti, delle prestazioni e della manipolazione. Basta praticare sport da semplici appassionati ed elaborare le dovute prospettive per capire che il fisico dell’uomo non può reggere certi ritmi, certe fatiche, una esigente capacità fisica: c’è un confine oltrepassando il quale si sfida la natura, la biologia e il vivere stesso. Perchè se la carriera di un atleta faticosamente arriva ad urtare la soglia dei 40 anni, la vita di un uomo ha una traiettoria molto più lunga sulla quale viaggiare con un fisico che non presenti troppo presto il conto per l’umiliazione inferta in anni che sembravano d’oro. A scapito di intere famiglie.
Nell’attesa che il CONI firmi la radiazione completa per i traditori di qualsiasi sport – magari dopo una chance offerta per un sudato riscatto – rimane quella fastidiosa disaffezione sportiva che sempre più allaga l’animo dei tifosi che, se fra poco s’accenderanno in vista del passaggio della carovana rosa, serberanno nel cuore il sospetto infamante nell’incrociare certi volti festanti: rispetta l’avversario, ma rispetta pure la passione del tuo tifoso.
Fra qualche anno nell’elenco delle squadre ne troveremo pure una sponsorizzata dall’Epo e dalla Cera e la chiameranno “Pinocchio cycling team”. Ma almeno sapremo in partenza che certi scatti atletici sono stati pilotati dal Gatto e dalla Volpe. E non rischieremo più di lasciare umiliare l’animo nobile di chi allo sport pulito ancora ci crede.
Nonostante tutto e nonostante tutti.

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