Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

bicchiere

Hanno un bel da fare, certi cristiani, a professare che la povertà è una grazia: forse non l’hanno mai subita, se lo dicono in maniera così fragorosa. La povertà, infatti, fa schifo, tanto schifo: procura ribrezzo, ti umilia, ti sfianca ad esaurirti. Non ha nulla-di-nulla di quella poesia con la quale l’hanno patinata generazioni di catechismo più o meno ortodosso. Il fatto è che al povero va sempre male, andrà sempre peggio: la povertà è la peggiore forma di violenza. Dovrà arrivare Cristo, un ricco della Madonna, a farsi povero per prendere la povertà e cantarla, senza farsi ridere dietro: Beati i poveri, dirà un giorno. Giocheranno a freccette coi chiodi contro di Lui, come quattro ubriaconi all’osteria: guardare il mondo dal basso risveglierà sempre istinti assassini. Per tutto il resto, la povertà fa schifo. “Ma che cosa dici? La povertà è figa, è bello vivere alla giornata!”, dirà qualcuno con il Rolex al polso. Certo che è bella questa povertà, è bellissima, tanto quanto è bello lavorare un pezzo di terra il fine-settimana: per hobby, per assaporare emozioni diverse. La povertà scelta è sempre bella, come una stagione di castità dopo una vita di caccia, da cacciatori o cacciatrici. La povertà è bella quando la scegli, non quando te la impongono: in questo caso è il più subdolo degli smacchi, la galera più spietata che esista, un vero ergastolo di sudditanza. “Ma il grido dei poveri sale fino a Dio, non senti che poesia?” ribatteranno altri. Certo che sale fino a Dio, ma sovente non arriva alle orecchie dell’uomo.
Oggi la Chiesa ha celebrato la Giornata Mondiale del Povero: una bellissima idea, figuriamoci! Se un Papa, però, è stato costretto ad introdurla, significa che qualcosa non fila proprio dritto: non dovrebbero essere tutti i 365 giorni dell’anno la “giornata del povero”, soprattutto per chi crede nel Dio-povero? Se l’ha dovuta inserire, lui che ha il fiuto degli straccioni come fiato-di-riserva, è perché si è accorto che la pazienza dei poveri si è rotta. Basterà riascoltare l’Angelus di oggi per capire quanto sia colma la misura: «Noi, a volte, pensiamo che essere cristiani sia non fare del male – ha detto -. Non fare del male è buono». Tutti concordi, figuriamoci. È l’altra faccia che fa dire: “Ma quant’è difficile ‘sto Papa!”. Quando dice: «Ma non fare del bene, non è buono». Lancia un SOS alla Chiesa, in primis: attenzione all’omissione-di-soccorso, gente. Il bene (non fatto) è un’omissione di soccorso, eppure non è male. Ai poveri non basterà più (qualora fosse bastato una volta) non fare del male – darci una pedata, mandarli a quel paese, sbatterli sotto i ponti, rubare loro le mance – per far loro del bene. Occorrerà fare loro del bene, ch’è molto più di non fare loro del male. Mentre oggi lo ascoltavo, mi sembrava di sentire parlare Chesterton: «L’ideale cristiano non è mai stato messo alla prova e trovato manchevole: è stato giudicato difficile e non ci si è mai provati ad applicarlo». O forse lo si è fatto, esagerando: conosco cristiani che fanno cose mirabolanti, s’inventano gesti di straordinaria grandezza fino ad auto-imporsi digiuni mensili per vincere la povertà. Non è che Cristo non apprezzi, il fatto è che soffre nel vedere che siamo disposti a fare sacrifici giganteschi e non siamo capaci di fare quei piccoli sacrifici che Lui sognerebbe facessimo.
Un bicchiere d’acqua, per esempio. Non pensate ad una metafora, per cortesia: proprio un bicchiere di quelli di vetro, con dell’acqua dentro (anche del rubinetto, non occorre sia di marca). Come cristiani, ci perdiamo spesso (in) un bicchiere d’acqua. Un giorno, conversando con Papa Francesco sull’eternità e affini, mi è venuto spontaneo fargli una domanda, forse irriverente ma fanciulla: “Ma tu pensi davvero, Papa Francesco, che per entrare in Paradiso basterà aver dato un bicchiere d’acqua a chi sta morendo di sete?” Lui ha acceso uno sguardo bambino, aveva il volto quasi rosso dall’imbarazzo, quasi a volerlo coprire per la timidezza: “Sai, Marco, io penso davvero che basti un bicchiere d’acqua. Magari qualcuno dirà che sono ingenuo, ma è il Vangelo che lo dice”. L’ho abbracciato al volo: ne valeva la pena. Il fatto è che, quando c’è di mezzo il povero, l’inghippo diventa palese: tutti indaffarati nel voler cancellare la povertà dalla faccia della terra, ci perdiamo il primo passo, che è sempre il più difficile: accorgerci del povero sotto-casa. È così che si arriva tardi all’appuntamento con Cristo: ci si perde (in) un bicchiere d’acqua. Quello non dato, perché pareva una cosa da poco. Eppure non lo era: era il nascondiglio dov’era andato a ficcarsi Cristo per abbracciarci.

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