Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

pif

Non è dogma di fede, ma un’opinione personale. Il lettore – alla condizione di aver letto l’opera – sarà libero di contestarla: il libro, nello scaffale, andrebbe incollato sul retro di copertina del Vangelo. Quasi fosse un suo compendio, una possibile verifica dell’applicazione riuscita, oppure no. È opinione personale. Chi l’ha scritto è uno scortese tosto: Pif. Uno che passeggia nel mondo con una filosofia tutta sua: cucita addosso: «Andare in giro mentre penso a quanto sono disgraziato è catartico». Lo mette nero su bianco in “…che Dio perdona tutti”, un già-bestseller (Feltrinelli, 2018). Protagonista è Arturo: il vecchio trucco di usare dei presta-nomi per nascondersi meglio. Protagonista è Pif, che viaggia armato: la sua arma è l’umorismo. L’umorismo è un modo di dire qualcosa di serio, la scorciatoia per arrivare alla verità. La verità cristiana, che tanto incuriosisce uno spirito dissacrante e profondo come quello di Pif: «Appendere il crocifisso. Era convinto che sarebbero aumentate le vendite (…) Pochi doveri impegnativi, ma molti privilegi». È l’amore della verità che sta alla base dell’umorismo: nel caso opposto, è sarcasmo. L’umorismo di Pif è materia non-contraffatta: fa ridere per cinque secondi, fa pensare per dieci ore. Smaschera l’irrazionale nel razionale.
Arturo/Pif ha pochissime passioni: i dolci alla ricotta e le partite a calcetto. Fino a quando compare Flora: sveglia, ingegnosa, molto cattolica. Tesserata in quella chiesa che intriga molto Pif/Arturo: una chiesa «non di disonesti, ma di lecita approssimazione che rasentava la disonestà». La chiesa di don Vitrano – «Ci sono circostanze in cui essere troppo espliciti danneggia i rapporti in una comunità» – che pratica, per il quieto vivere, la sospensione della verità, mentre gioca a burraco con la marchesa. Per conquistare Flora, Arturo osa fare sfoggio della sua simpatia cristiana. In occasione di una via-crucis popolare, «mi sono proposto come sostituto al Gesù ufficiale per farmi notare da te». Passeggiando ai bordi della blasfemia – durante la via crucis s’accorge d’aver scordato l’intero impianto catechetico d’infanzia – riesce a far innamorare Flora. Ammettendo, a modo suo, un’implicita ammirazione per il Cristo, quello vero: «Pensavo che la via Crucis fosse più semplice da fare. Invece è veramente dura! Non affrontavo imprese così difficili, come una Via Crucis, per amore». S’innamorano, senza che Flora si accorga dell’indifferenza religiosa di Arturo/Pif, quasi-cattolico: «Se credo in Dio? Come tutti». Per amore, Arturo combatterà la sua guerra: per tre settimane s’impone di seguire alla lettera il Vangelo. Lo farà nel suo mestiere di agente immobiliare, nel suo ruolo di compagno di Flora, nell’amicizia. Dopo tre settimane, il risultato s’affaccia nudo come i cachi d’autunno sui rami: «E fu così che rimasi cristianamente solo (…) Perchè non volevo vivere la cristianità come superstizione». Cristianamente, completamente, solo: senza lavoro, senza amici, senza Flora. «Ma che senso aveva fingere per sopravvivere, quando oggigiorno l’umanità pretende di vivere?» (dal vangelo apocrifo del quasi-evangelista Pif).
È un pensatore Pif: pur seducendo, è un maestro. La sua non è materia di fiammate, le sue “sparate” sono braci che ardono sotto la cenere. Inconfondibile nella sua voce, stavolta gli scappa una dichiarazione d’amore pazza per Cristo: «Se non siete in grado di sostenere la parola di Dio e avete smesso di provarci, piantatela di dichiararvi cristiani». Ammira la forza del bene, Pif. Tratta come un fiume carsico Cristo, facendolo scorrere nella trama. Prima, però, mette come exergo dell’opera il cristianesimo-delle-radici di Angelino Alfano, Matteo Salvini. “Che c’entrano questi qua?” pensi prima d’iniziare la lettura. Alla fine li rileggi e tutto s’illumina: storia di crocifissi alle pareti e di gommoni bucati. Dice d’essere agnostico Arturo/Pif: poi t’accorgi che, per tre settimane, è il rappresentante più retto della Chiesa «ospedale da campo». È stregato da Francesco, Arturo/Pif: il santo, il Papa. Tra don Vitrano e don Marco, sposerà la causa del secondo: «Andare avanti, perché questa è la strada che tutti dovremmo intraprendere (…) Certo che ci sono problemi, ci sono perché abbiamo a che fare con esseri umani, con tutte le implicazioni che questo comporta». Il primo, invece, gli desta il sospetto d’essere «cattivo come solo i buoni sanno esserlo». È sfrontato Pif, un irriverente spiritualmente onesto come solo gli intelligenti sanno esserlo. La rabbia, a fine-corsa del libro, è che hai riso per tutto il tempo che l’hai letto ma senti già che ti disturberà il cervello per tutto il tempo delle eucaristie a venire.

(da Il Sussidiario, 30 novembre 2018) 

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