Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Come qualcuno che, in cambio d’aver prestato la sua casa gratuitamente perchè delle persone si scambiassero dei doni – “Cosa fate là fuori, per strada?Entrate! Fate come se fosse casa vostra. – ricevette una bella ricompensa. Non voluta, non cercata, non desiderata: gratuita, come di tutte le gratitudini più belle. Lei, a Nazareth, assistette (e, addirittura, permise) a Dio di far con la terra un «admirabile commercium», scambio miracoloso: quello tra la nostra povertà e la sua grandezza. Uno scambio impari, tutto spinto a vantaggio dell’umanità, realizzato per amore, con estrema grazia. Uno scambio diventato, nei secoli, la carta d’identità stessa del cristiano: esistiamo, siamo, viviamo grazie a questo scambio. Che una donna, la (ma)donna, ha reso possibile spalancando al Cielo il cuore: “Entra, siediti: fa come se fossi a casa tua!” Il Cielo, in materia d’amore e affini, ha una memoria doppia rispetto agli elefanti: quando si consumarono gli anni a disposizione della Donna quaggiù, il Cielo non permise che fosse trattata come fosse una qualsiasi. Le riservò un’accoglienza preferenziale: “Tu mi hai fatto nascere in terra – pare la seconda annunciazione del Cielo a Maria -, io ti faccio nascere in Cielo”. Il suo corpo – il luogo dov’era avvenuto quello scambio meraviglioso – non poteva venir imbruttito dalla morte, ma si doveva lasciare un segno chiaro agli antenati e ai nascituri: “Chi, quaggiù in terra, obbedirà a Dio, lassù in Cielo continuerà a vivere cantando”. Fu così che Maria, senza chiedere favori, non morì ma venne assunta in Cielo. Assunta a tempo indeterminato, a favore dell’umanità: segno e segnale di chi potremmo diventare se, come Lei, invece che farci schiavi del mondo accetteremo il rischio di diventare servi del Signore. Con il transito di Maria s’inaugurò la prima migrazione verso il Cielo.

Le venne risparmiata, dunque, la scocciatura della morte: «Vivo la morte come una scocciatura» disse, anni fa, Piero Angela in un’intervista. La morte, va da sé, è un’interruzione che scoccia. E’ una frattura dei sogni, dei progetti, di tutto ciò che imbastiamo nel nostro quotidiano. Scoccia, un giorno, lasciare tutto questo. Il corpo, poi, che tristezza abbandonarlo in un cantuccio sotto terra, con tutta la cura che abbiamo avuto per esso: creme, lifting, palestra, abbronzature, difesa dalle smagliature, ritocchini, maquillage. “A Ferragosto, poi, venite a dirci che, un giorno, dovremo lasciare questo bellissimo corpo che cremiamo con le nostre mani. Lasciateci abbronzare in pace!” mormora il popolo degli ombrelloni al Vangelo. Che, proprio a ferragosto, inneggia al valore altissimo del corpo di una Donna: “Se mi accorderete fiducia – sembra dire il Cielo – il corpo vostro non verrà distrutto, ma trasfigurato. Nulla verrà perduto di tutto ciò che la vostra vita vi ha dato”. Il corpo di Maria non conobbe la putrefazione: venne assunta in anima e corpo, pacchetto completo. Tutto ciò che le fu riservato, però, le venne donato non come un privilegio esclusivo (che, comunque, meritava), ma perchè restassero indicazioni valide per tutti: “Potete diventare come lei: guardate a Lei e sarete raggianti, non vi turberà il suino di Satana. Si squarterà da solo”.

Non visse, dunque, la morte come una scocciatura Maria. Fu il finale su misura dopo una vita trascorsa a decifrare i segni di Dio nelle sue giornate, a prima vista anonime: «(Elisabetta), grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome». Ha fatto quel poco che le bastò per entrare nei sogni di Dio, quel poco nel quale noi facciamo spesso cilecca: si è resa conto di essere nello sguardo di Dio: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (cfr Lc 1,39-56). Il cristianesimo di Maria è tutto qui: nel fremito di uno sguardo che, guardandoti, ti annuncia la grandezza che puoi divenire se t’affidi a quegli occhi. Iddio, a lei, glieli chiuse con elevati indici di delicatezza: «Occhi che furono chiusi alla luce perché tutti li avessero aperti per sempre alla luce» (G. Ungaretti). Più che una scocciatura la morte fu per Maria una carezza: col Cielo fidarsi non è mai un gioco d’azzardo.

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua (Vangelo di Luca, 1,39-56).

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