Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Chi ha voglia di vedere un bel film sui fantasmi?
Di solito alzano la mano coloro che hanno una passione per i film horror, o per quelli ricchi di suspance con una spruzzata di elementi macabri, anche se non è raro trovare pellicole che riescono a trattare l’argomento con simpatica comicità e con una leggerezza maggiormente adatta ai più giovani. Inutile girarci intorno, li associamo immediatamente a qualcosa che fa comunque paura, cioè il tema della morte.
È un’associazione a dir poco singolare e si è scostata così tanto dal suo significato originario da assumerne uno del tutto nuovo e decisamente più negativo.
Il sostantivo fantasma, infatti, ha per sorella la parola fantasia. Entrambi hanno come fratello l’aggettivo fantastico, mentre i loro genitori sono i verbi greci phaino (appaio) e phantazo (mostro pomposamente).  E così fantasma è una figura che appare, un’immagine illusoria; la fantasia è un’immagine potente, evocativa e fantastico è qualcosa di immaginato, che coinvolge tutta l’interiorità dell’essere umano. Come possiamo notare siamo lontanissimi da qualsiasi idea di morte, di tristezza. Anzi, al contrario, è proprio la luce (phanos) che illumina e fa scaturire tutti questi termini, letteralmente, proprio come il sole regala i suoi raggi che rischiarano e riscaldano ciò che incontrano.
Cosa temettero, dunque, gli apostoli, nel vedere Gesù risorto? Non ebbero paura di un fantasma inteso in termini moderni, cioè di un defunto che si rendeva visibile. Si spaventarono perché ebbero timore di trovarsi di fronte a qualcosa di illusorio, evanescente. Qualcosa di simile, appunto, al raggio di sole che è lì, lo vediamo attraversare l’aria insieme al suo turbinio di microscopico pulviscolo, ma che non possiamo toccare con mano. La loro felicità è lì, a portata di dita, ma se fosse invece un’illusione collettiva? Se la loro esultanza venisse stroncata sul più bello, svanendo come una bolla di sapone, lasciandoli con la speranza in frantumi? Proprio per questo, Gesù invita a non temere, a toccarlo, a mangiare insieme a lui: è vivo, tangibile, reale più che mai. Il cristianesimo non poggia su un’idea campata per aria, su una vana fantasia, ma su un corpo solido che ama e respira.
Quante volte ci capita di ritrovarci nella stessa situazione degli apostoli? Ci ritroviamo tra le mani qualcosa – o qualcuno – di bello, che potrebbe illuminare la nostra esistenza. Un’amicizia, un amore, un’opportunità, la fede stessa… ed invece rimaniamo lì, a tentennare, esitanti. Abbiamo paura di essere ingannati, di venire illusi. Abbiamo paura che la nostra sia solo evanescente fantasia. E allora, per cercare di non rimanere delusi, ci chiudiamo a riccio. Rifiutiamo quel raggio di sole, tenendoci ben lontani, perché sappiamo che – nel caso in cui davvero tutto sparirà come una bolla di sapone – rimettere insieme i cocci sarà un lavoro difficilissimo, condito da lacrime amare.
Invitare a “non temere”, come dice Gesù, è quasi fin troppo facile. La paura entra in campo anche per preservarci e prepararci a reali delusioni: la nostra vita è sempre ben lontana dal fiabesco “e vissero felici e contenti”. Il nostro cammino è per la maggior parte del tragitto cosparso da pietre d’inciampo, segnali di stop, deviazioni e quant’altro e, solo in minoranza, da tratti del tutto sgombri da qualsiasi ostacolo. Ma se persistiamo nel vedere solo quello che non va, rischiamo di lasciar sfumare ciò che ci può rendere sereni, o addirittura felici. Se resteremo immobili, timorosi dei fantasmi – nel senso originario del termine – non vivremo la vita, ma ci ritroveremo in disparte, ad osservarla da spettatori.

Si ringrazia don Giovanni Berti per la gentile concessione dell’immagine. 

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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