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Ci sono occhi che parlano, diciamo. Spesso, quando ci esprimiamo in questo modo, intendiamo dire una particolare, spiccata espressività comunicativa veicolata tramite uno sguardo. Il più delle volte, il soggetto di queste osservazioni è un attore famoso e brillante, capace di performance recitative convincenti proprio grazie a questa caratteristica. Sono occhi in grado di comunicare – o arricchire, in modo significativo – la comunicazione verbale, fino a renderla – quasi – superflua. 
Sono gli occhi che cerchiamo, quasi istintivamente, quando vogliamo accertarci che il nostro interlocutore ci stia ascoltando – oppure: non ci stia mentendo, nelle risposte che ci sta fornendo -. È ormai ampiamente risaputo, infatti, come l’aumento del battito delle ciglia, oltre che del battito cardiaco siano tra i principali indicatori della menzogna in atto.
È negli occhi che si guardano due innamorati, prima di sperimentare che il vero amore è quello in cui la coppia impara a guardare – assieme – nella stessa direzione, al di là di ostacoli, intromissioni o difficoltà. 

Sono proprio gli occhi – con il supporto della tecnologia – che diventano uno strumento fondamentale per non spezzare in modo irrimediabile il filo che consente di mantenere vivi i rapporti con chi ci sta accanto. In special modo, quando la malattia attacca l’integrità del corpo e arrivare a minarne autonomia e vitalità, così che quel filo sembra diventare sempre più sottile. Eppure, anche grazie alla comunicazione mediata dal computer, nonostante tutte le difficoltà, non si spezza.  

Non solo: oltre a consentire alla persona di esprimersi e farsi capire, tramite la sintesi vocale, è possibile anche scrivere e comporre musica, come nel caso di Paolo Palumbo, affetto da SLA (ha anche calcato il palco di Sanremo, nel 2020). Oltre ai malati di SLA, usufruiscono di strumenti simili per comunicare anche persone con locked-in syndrome, persone affette dalla sindrome di Angelman o da altre patologie che vedono compromessa la comunicazione verbale (come nel caso di sindromi dello spettro autistico di una certa gravità).  

Qualcuno ritiene che un deficit simile possa addirittura compromettere la valutazione sull’essere umani. Forse, un giudizio simile è un po’ troppo temerario.   
Preferisco che il mistero della vita interpelli pregiudizi e preconcetti e metta in moto mente e cuore, riflettendo sulle possibilità sempre nuove e mai scontate di comunicare di cui può usufruire l’uomo, qualunque sia la condizione della sua salute.

Una riflessione simile dovrebbe essere ad ampio raggio e coinvolgere anche – e, oserei dire: soprattutto – la comunicazione di chi ha l’illusione di potersi definire “normale”.  
Quante volte i nostri rapporti sono dettati dalla fretta, dal pressapochismo, dalla superficialità? Quante volte ci siamo soffermati a guardare negli occhi il nostro interlocutore? Quante volte abbiamo saputo leggere – tra le pieghe del silenzio, nelle pause dei discorsi, in uno sguardo che si abbassava, in un tic nervoso, nella stereotipia di un movimento – il disagio, la sofferenza, la difficoltà, ma anche la gioia e l’entusiasmo di comunicare? Troppe volte ascoltiamo – distrattamente – parole quasi come fossero un rumore di sottofondo, senza valutare il peso specifico di ogni vocabolo, di ogni gesto, di ogni pensiero che trapela tra le rughe del volto e le arcate delle sopracciglia. 

Ci sono occhi che parlano – e hanno tanto da comunicare – a chi abbia il tempo e la pazienza di sostare un momento, soffermandosi ad ascoltare anche ciò che degli occhi possono comunicare. Anche se non c’è di mezzo un cachet milionario, per la produzione di un film. Anche se non conosciamo nessuno che comunichi tramite il computer.  
Oggi è il giorno giusto per iniziare a parlarci (ed ascoltarci) con gli occhi!


 Fonte immagine: Grimsbytelegraph.co.uk

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