Una bordata contro Benedetto XVI e la sua ultima
enciclica definita "un’enciclica di
Paparazzi che è più divertente di un barile di anguille". Iniziò così,
qualche giorno fa, lo spettacolo di Daniele Luttazzi. Se la sua è arte, allora è una delle tante arti mal tradotte che invocano
l’adozione – o meglio l’affido – a mamma TV. Pensiero che inalbera l’immagine
dell’uomo moderno vittima e carnefice di un equivoco di genesiaca memoria: che
Dio all’uomo occulti qualcosa che gli ostruisce la piena realizzazione. Una
veduta inesatta che tende a mostrare un Dio volgare, senile e avverso che
lascia in eredità una perdita di fiducia dinanzi alla bontà di Dio.
Eppure
quell’enciclica campeggia ancora nelle vetrine delle librerie. Spe salvi è la seconda "fatica
letteraria" di Benedetto XVI. Il nostro Santo Padre è pastore e filosofo. Sgobba
nel presente senza esserne asservito. Medito la lezione di Ratisbona, così
osteggiata e svilita dagli esperti mediatori cultural – religiosi di quella che
fu la
Cristianità. Ripenso alla Deus
caritas est, che rapporta la
Verità eterna col rigorismo emotivo di un umanesimo avverso a
Dio. Penso al Gesù di Nazaret che riga
un cerchio perfetto e torna all’inizio, discorre col testo di un rabbi
contemporaneo e cala al centro.
Dimostrazione
che la parola, se vera, opera e
trasforma. L’apprendere – che fortifica e allieta – costringe a quotidiana
verifica, altrimenti è una gabbia per colti. Una prigione intelligente.
Intelligente:
ma pur sempre prigione!