Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Ancora oggi, in tempo di Erasmus e scambi culturali, quando viaggiare da passione elitaria si è ormai trasformato in passatempo collettivo e diffuso, è possibile che le parole, anziché essere guidate dal buon senso, attingano, invece, al pregiudizio ed alla paura. È ancora possibile – dal momento che si è verificato – che il criterio di valutazione, di prima occhiata, si basi unicamente sulla quantità di melanina di un professionista anziché sulle sue competenze e sul suo curriculum vitae. In breve, che, un’occhiata superficiale ed approssimativa basti a portare a galla paure recondite ed ataviche. “L’uomo nero”, appunto.
È avvenuto a Cantù, dove il trentenne dottor Andi Nganso, laureato in Medicina in Italia, all’Università dell’Insubria, di origini camerunesi, si è visto opporre un rifiuto ad essere visitata , da parte di una signora, che ha addotto, quale motivazione, il suo colore della pelle.
Dato che l’ironia è espressione d’intelligenza, il diretto interessato ha commentato l’episodio: “Grazie, ho 15 minuti per prendere un caffè”. Probabilmente, questa è l’unica reazione possibile, di fronte ad un atteggiamento così insensato e a se stante, rispetto alla realtà.
In realtà, chi ha potuto vedere e sperimentare l’effetto-opposto, il ritrovarsi “unico bianco tra i neri”, con quella sensazione di essere strani e fuori luogo, pur in un ambiente accogliente, che però ti affronta con curiosità insopprimibile, può ben capire la puntualizzazione del medico: «Sono medico da due anni e capita di rendermi conto che i pazienti sono sorpresi e magari un po’ incerti davanti a un medico nero, ma una reazione tanto violenta non mi era mai capitata prima». È probabilmente, del resto, inevitabile, l’iniziale spaesamento, quando ci si trova in un Paese straniero – a maggior ragione se, al cambiamento dei paesaggio, si affianca una novità od una differenza – più o meno pronunciata – di cultura, di abitudini e di tradizioni.
Si potrebbe parlare della bellezza, che è in grado di comunicare la diversità, quando si rende possibile il dialogo nella schiettezza e nella verità, dandosi l’opportunità di apprendere qualcosa da chi è oggettivamente diverso.
Non è però possibile parlare di tutto ciò se, prima, non diviene chiaro quali siano i parametri con cui valutare un professionista che ci sta innanzi, chiunque egli od ella sia. Qui non stiamo parlando di un concetto astratto, come non potrebbe mai essere, quando l’uomo è coinvolto. In ogni persona, oltre alla pelle, c’è una storia da raccontare. In questo, c’è il sogno di studiare economia in Italia, che si tramuta in un sogno diverso, studiare medicina; seguono gli anni in università, i tirocini massacranti, i turni di lavoro in guardia medica, in pronto soccorso, in ambulatorio. Colore della pelle, probabilmente, qualunque neolaureato in medicina potrebbe raccontare esperienze simili. Dovrebbe bastare questo a farci comprendere quanto, al di là di qualunque caratteristica fisica che ci connota, ciò che fa sentire vicini anche i più “lontani” è proprio la comunanza di interessi ed obiettivi, a renderci ‘fratelli’, lungo gli incroci che la vita ci offre, quale occasione per arricchirci dell’alterità.
Se, tuttavia, abbiamo necessità di riempirci la bocca con le parole “razze” o peggio ancora “meticci”, forse, nonostante il susseguirsi di commemorazioni, non abbiamo imparato la lezione della Storia e siamo ancora lontani anni luce dalla possibilità – o, almeno, dal tentativo – di “guardare il cuore” (1Sam 16,11).


Fonti:

Corriere della Sera

Avvenire

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