Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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“Maestra, ma perché Dio è solo papà? Non può essere anche un po’ mamma?”
L’occhiataccia di traverso dell’insegnante fu un rimprovero chiarissimo, che mi spinse a tapparmi la bocca e a farmi più piccola che potevo per provare a scomparire alla vista di tutti. La mia domanda fin troppo ardita era giunta al limite dell’irrispettoso. Forse presa in contropiede, la maestra mi intimò di non osare mai più voli mentali così rischiosi. Mi vergognai di essere stata ripresa di fronte ai miei compagni, ma soprattutto immaginai una chissà quale punizione divina che da un momento all’altro sarebbe piovuta dal cielo.
Dopo circa trent’anni di distanza il caso mi ha regalato il medesimo siparietto, ma a parti invertite. Io dall’altra parte della barricata – ops, della cattedra – e non uno, ma quasi un’intera classe di bambini incuriositi da quell’appellativo che sembra escludere qualsiasi controparte femminile. Alé, un episodio che ha tutto il sapore della rivincita.
Il dubbio è più che lecito e il punto di vista dei più piccoli scaccia qualsiasi ombra di dibattito tra maschilisti e femministi. Per loro, ognuno degli adulti che li circonda possiede prerogative e caratteristiche ben precise, una sorta di binario obbligato che non consente cambi di rotta: è la costruzione di un mondo strutturato che li fa sentire sicuri e protetti. Questo però non esclude che ci siano momenti in cui osare un pensiero diverso, una domanda un po’ più ardita delle altre, una strada nuova e inesplorata.
Ecco allora l’interrogativo su Dio Padre, chiamato così non solo perché lo ha insegnato Gesù, ma anche a causa del suo essere origine di ogni cosa – padre degli uomini, padre del creato – ma potrebbe avere anche le caratteristiche di una mamma?
Senza timore di anatemi provenienti dall’alto dei cieli, possiamo affermare che il ragionamento di questi bambini non è andato così tanto lontano dalla realtà delle cose.
Nell’Antico Testamento la maggioranza di nomi, verbi e aggettivi riferiti a Dio è al maschile. Non è necessario tirare in ballo nessuna connotazione di stampo patriarcale o discriminatoria nei confronti delle donne: anche il Decalogo declina tutti i verbi al maschile, intendendo però raggruppare con esso la totalità del popolo d’Israele, invitata ad accogliere quelle Dieci Parole di pace reciproca.

“Buono e misericordioso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.” (Sal 103,8)

La Misericordia di Dio è uno dei tratti più stupendamente dipinti dagli autori dell’Antico Testamento. Ogni atto di compassione verso le singole creature, ogni dichiarazione d’amore nei confronti di un popolo capriccioso e spesso recalcitrante, è una pennellata colma di vibrante e genuino trasporto.
Ma come tutte le pennellate, esistono quelle larghe e dense di colore, così come quelle sottili e ravvicinate ed ognuna di esse possiede un proprio scopo perché il dipinto sia il migliore possibile. Così anche la Misericordia è un tratteggio dalle molteplici sfumature, per le quali c’è una parola per ogni ambito.
Il filo che lega Dio all’uomo possiede più nomi, poiché l’amore non si accontenta di un solo modo per potersi manifestare, ma cerca sempre più e più vie per potersi tramutare in abbraccio che non lascia escluso nessuno.
Esiste una Misericordia che è tipicamente femminile, un volto dell’amore divino che si lega al tema della maternità e che ci mostra una tenerezza senza eguali. Questa Misericordia in ebraico è “rahamìm”, ben diversificata dalla Misericordia-“hèsed” che è invece la fedele benevolenza di due persone che stringono un patto.
Rahamim è un sentimento che ha la sua radice da rèhem, il grembo materno. È il luogo in cui avviene il mistero della vita, ma anche il primo momento di con-vivenza tra una madre e la propria creatura. È questo un vero e proprio amore viscerale, espresso con un linguaggio figurato di notevole profondità e grande impatto, perché si tuffa nei sentimenti di un Dio che ama con tutto se stesso – con ogni fibra del suo essere – e che vuole custodire la sua creatura non come una guardia ma come una madre che fa crescere il proprio figlio.

“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.” (Is 49,15)

Dio ama con cuore, mente, anima… grembo. Di un amore gratuito e a prescindere, non frutto di qualche tipo di merito. Una sua assunzione di responsabilità che richiede impegno e premura, vigile attenzione che non fa mai uso del cartellino “torno subito”. E nonostante questo è un tipo di Misericordia che non pretende di incatenare i passi altrui, ma lascia la libertà di allontanarsi, di cadere se necessario, così simile alla gioia mista a timore di un genitore che assiste ai primi, dolcissimi, incerti passi del proprio figlio.

Dio ci ama come siamo. Punto.
Prima ancora di essere contraenti di un patto d’alleanza, siamo figli amati.
E se rovesciassimo l’impostazione?
Noi (ci) siamo perché Dio ci ama, preziosi a prescindere, “chiamati per nome” (Isaia, 43,2).
Siamo “un’esigenza del cuore” (Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in misericordia, 52), il centro di un bersaglio su cui la Misericordia non vede l’ora di essere scoccata per diventare tenerezza, pazienza, compassione e perdono. Una gamma di sentimenti da far perdere la testa.
Non buonismo-a-tutti-i-costi che tralascia la doverosa giustizia, ma amore-ad-ogni-costo, che ci mette la faccia, anzi, il proprio grembo perché non sia il male ad avere l’ultima parola.
Dio-Padre, ma anche Dio-mamma, se necessario. La doverosa precisazione che questo linguaggio è solo “un antropomorfismo, un simbolo, per esprimere l’ineffabile mistero divino” (G. Ravasi, Questioni di fede) non sminuisce affatto la grandiosa portata di un sentimento spontaneo, istintivo e assoluto, che non vede l’ora di poter avere un appuntamento con noi.
Il Padre Misericordioso, dipinto da Rembrandt, porta in sé il vessillo di una Misericordia che è paterna e materna, fedeltà e amore viscerale. Le mani che si poggiano sul figlio inginocchiato sono teologia-a-pennellate: abbracciano, confortano e guariscono. Simili e diverse, una maschile ed una dai tratti tipicamente femminili, sono l’espressione di un moto totalizzante che accoglie e perdona, perché la sua riserva d’amore per l’uomo è praticamente infinta.

Giovanni Paolo I – Dio è madre
In copertina: Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo, particolare.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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