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E’ andato lui direttamente, in prima persona: perchè quello di presentarsi sotto-casa, con Gesù di Nazareth, è diventato il tratto tipico del Dio cristiano. L’ha fatto perchè lui, alla fine della fiera, dovrà rendere conto al suo Padrone che, in materia di pace, ha le idee molto chiare e ben distinte: «Beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). E l’operatore di pace non è uno che rifiuta di fare guerra: è colui che entra in guerra per fare guerra alla guerra. Mai un Papa aveva compiuto un gesto così ad altissima tensione: una sorta di incursione, in piena regola, a casa dell’aggressore. Si è presentato letteralmente disarmato, a bordo della sua 500 e non blindato dentro La Bestia americana o qualche carro armato nel quale si nasconde chi ha paura. È entrato zoppicando, preoccupato, forse a mani giunte: a chiedere semplicemente pace. Pur dotato di una diplomazia tra le più precise al mondo, ha fatto da solo, all’insaputa del mondo suo e nostro. E così, in sordina, il Papa è sbarcato laddove nessun Papa era ancora riuscito: in terra di Russia.
Due anni dopo la Statio Orbis – come Mosè a trattare direttamente con il suo Dio, in piena pandemia – lascia che la Chiesa italiana discuta nella Firenze di Brunelleschi e La Pira e, chiedendo al suo ginocchio (quant’è biricchino il ginocchio di Pietrofrancesco!) di fare sforzi supplementari, va in guerra a trattare con il nemico. Come, qualche anno fa quando, nell’informalità di Casa Santa Marta, ha riunito i leader capricciosi del Sud Sudan e ha baciato loro i piedi per chiedere loro di fare la pace. Certe volte somiglia ad un titolare d’azienda che, pur avendo nella sua scuderia validissimi agenti di commercio, va lui direttamente dal produttore per trattare l’acquisto delle materie prime: per essere sicuro del negoziato, delle traiettorie individuate, del prezzo pattuito. E la materia prima, per lui, è anche la prima materia che fa di una terra qualunque un pezzo di terra promessa: è la pace. E lui la vuol portare a casa a tutti i costi, costi quel che costi, per poi condividerla con tutti i suoi figli, a qualsiasi nazione e fede appartengano. E’ bastata mezz’ora a Pietrofrancesco per dare l’ennesima scossa alla sua Chiesa che, certi giorni, assomiglia ad una balena arenatasi sulla spiaggia: incapace di spostarsi in mare, sembra che le si versino addosso, a turni prestabiliti, bagnini d’acqua per tenerla bagnata, che non abbia a morire del tutto. E nessuno si accorge – pochi hanno la voglia di accorgersi – che l’acqua di cui abbisogna questa balena per ritornare regina del suo mare non sono (prima di tutto) le parole, i sinodi, le assemblee ma l’azzardo francescano di andare direttamente nella tana del lupo – Gubbio, Mosca o Kiev non muta la sostanza – per cercare di aprire una trattativa. Con i lupi, con i sultani: non con i chierichetti già in fila indiana, con turibolo e navicella. 
E per fortuna che ha un ginocchio malandato che fa le bizze: non immagino quali ottomila scalerebbe se gli funzionassero entrambi a meraviglia. Oppure è proprio perchè è così malandato che i suoi passi, quando li si ode dopo che sono già entrati nei covi pericolosi, aprono sentieri inimmaginabili. Quando lo vedo abbozzare questi negoziati sul ciglio della follia, mi torna alla mente il grande Annibale che, sconsigliato dai suoi generali (sono sempre molto prudenti i generali, ndr) di varcare le Alpi con gli elefanti – perchè, ufficialmente, non c’erano strade tracciate – , rassicurò che l’eventuale assenza di strade sulle Alpi non avrebbero scalfito minimamente il suo ardire: “Una strada la troveremo! E se non ce n’è nessuna, la apriremo noi”. E’ di questa profezia, immaginata in ginocchio e non nei salottini romani, che la Chiesa urge, affannata e zoppicante com’è: o si decide a lasciarsi prendere per mano dal fiuto profetico di questo Papa, o si vedrà costretta ad inseguire i suoi gesti con i comunicati stampa sempre più ridicoli, i rilanci di agenzia puntualmente in ritardo, i politicamente corretti “siamo vicini al Santo Padre”. Con il problema che, mentre  ancora li stanno scrivendo, il Papa è già da un’altra parte, ad aprire nuove trattative a nome dello stesso Dio. E siccome non gliene frega un fico-secco di PIL, gasdotti, metano e quant’altro, ha l’irrefrenabile libertà di presentarsi sotto-casa del lupo per offrirsi ostaggio, anche mediatore, pur di vedere il mondo ritornare a Cristo. E’ un figlio della luce che, stavolta, ha la scaltrezza dei figli delle tenebre. È un incrocio: di umano e divino. 

(da Il Sussidiario, 27 febbraio 2022)

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