È sabato sera, lui, come tanti, è a far la spesa con la figlia, di un anno e mezzo. Ha ormai finito, ha oltrepassato la cassa. Tutto a posto, per lui. È alle sue spalle che succede il finimondo. È alle sue spalle che avviene la rapina e due uomini stanno minacciando la cassiera, per avere l’incasso del supermercato Piccolo di Castello di Cisterna (NA). È alle sue spalle. Bastava non voltarsi per non vedere, non sentire, andare avanti, come se nulla fosse. E sarebbe tornato a casa sano e salvo, lui. Non sarebbe successo nulla. A lui.
Ma lui non pensa solo a sé. Cuore di papà, allontana la bimba, la lascia fuori, al di là della portata dei malviventi. E decide di tornare sui propri passi, verso quella maledetta cassa, per cercare di fermare i rapinatori. Si avventa su uno dei due (quello disarmato, per altro, segno che non è una testa calda e non corre come uno sconsiderato incontro al pericolo) ma l’altro fa fuoco e il secondo infierisce sul corpo. Di questa rapina, è Anatoliy Korol, operaio edile ucraino 38enne, sposato e con due figlie, a pagarne il prezzo più alto: la sua stessa vita.
E subito, il sindaco pensa di specularci sopra, di accaparrarsi l’eroe del momento, parlandone come “un eroe italiano”. Eh, no: troppo comodo girare la frittata. Gli stranieri “buoni” sono tutti italiani, quelli che creano i problemi e fanno i delinquenti, quelli non sono mai italiani, vero?
No, lui veniva dall’Ucraina, è venuto qui dal grande freddo, dalla povertà come tanti alti altri. Da un passato ed un presente di guerre. In cerca di pace, di serenità, dove poter crescere i propri figli.
Lontano dalla guerra che insanguina il suo paese, non abbastanza lontano per non morire in un’altra guerra, senza quartiere, contro l’ingiustizia e il sopruso del più forte ai danni del più debole.
Siamo sempre pronti a segnare sul taccuino ogni delitto compiuto da un immigrato, conteggiando con doviziosa perizia quanti reati produce ogni etnia, differenziando anche il computo tra regolari, irregolari, regolarizzati e chi più ne ha, più ne metta.
Un ucraino che qualche telegiornale si è degnato di segnalare all’onore della cronaca. Nessuna prima pagina per lui. Sarebbe stato troppo. Giusto un titolo, un servizio veloce, e poi via, di fretta. Le notizie serie sono altre, sempre altre. Non c’è tempo per approfondire nessun benefattore silenzioso e discreto. Nessun uomo qualunque, che è emerso dall’anonimato, in un certo senso contro la propria volontà, solo perché nessun altro, a parte lui, in quella circostanza così particolare, ha preso l’iniziativa. Nessuno faceva niente, qualcuno doveva fare qualcosa: non essendoci altri, lui ha deciso che sarebbe stato lui, quel qualcuno che mancava. Quel qualcuno che tutti invocano, ma che nessuno vuol mai essere. Ci fosse stato qualcun altro, forse davvero anche Anatoliy se ne sarebbe andato, lo sguardo fisso avanti a sé, senza voltarsi indietro. Ma quel qualcuno non c’era e lui aveva capito che, se non fosse intervenuto lui, nessun altro lo avrebbe fatto. E, per quel suo atto di generosità ed altruismo (troppi dettagli mi fanno pensar che non fosse un avventato e chi lo conosce non lo dipinge come un rissoso né un aggressivo, uno che cerchi rogne, anzi uno che, in genere evitava i conflitti), ci ha rimesso la vita e ha lasciato nel dolore la sua famiglia, che ora lo piange.
Tra i servizi pieni del gossip dei vip e delle inchieste più assurde, proprio non si poteva dare altro spazio, ad un uomo capace di un atto di generosità gratuito? No? E allora perché relegarlo in fondo alla lista,m come un reietto, come qualcuno che si debba vergognare delle proprie azioni!
La realtà è che Anatolyi ci insegna che non conta la nazionalità, di fronte alla possibilità di fare del bene. Che l’unica vera famiglia a cui tutti apparteniamo è quella umana e che solo se impariamo a difenderla da ogni aggressione, la vita su questo pianeta potrà continuare. Che, a fronte di ogni criminalità, ci sono semi di bene che, silenziosi, crescono tra le nostre città e i nostri palazzi e germogliano rigogliosi, senza che noi vi prestiamo la minima attenzione, perché troppo impegnati a puntare il dito e segnalare tutto quello “che non va”.
La realtà è che Anatolyi ci fa anche vergognare tanto, perché si moltiplicano, su internet e non solo, gli interventi di chi commenta che quest’uomo (sì, quest’uomo, avete letto bene) ha sbagliato, che non doveva fermarsi. Doveva andare dritto per la sua strada, con gli occhi bassi e non vedere e non sentire nulla che non lo riguardasse in prima persona.
Occhi bassi e coda tra le gambe: possibile sia questo l’unico modo di vivere? D’ora in avanti, ogni volta che ci viene alle labbra una simile domanda, dovrà affiorare istantaneamente il tuo nome, a ricordarci che no, non è l’unico modo possibile. Che si può alzare lo sguardo e camminare a testa alta. E sono sicura che anche le tue figlie, oltre il dolore, lo capiranno. Capiranno perché è morto papà, quel sabato sera di fine agosto, in un supermercato, mentre faceva la spesa. E impareranno ad esserne orgogliose perché in quella morte troveranno un insegnamento duro da recepire, ma che non poteva tramandarle in modo più incisivo: fa’ la cosa giusta. Anche quando ti criticheranno, anche quando ti indicheranno, anche quando nessun altro crederà che sia possibile scegliere ciò che è giusto, invece che preferire ciò che è facile. Nessuno può essere davvero orfano, se la sua vita potrà essere accompagnata dal ricordo di un padre capace di dare la vita, capace di coraggio, in un mondo ormai rassegnato all’incedere implacabile del Male e al suo dominio
L’amministrazione locale pare essersi ricordata dei suoi poteri e parla di intitolargli una via. Ma non basta. Non è dalle istituzioni che verrà il cambiamento. È da noi. Siamo noi che dobbiamo ricordare il suo nome, tramandarne la memoria e lasciare che il suo sacrificio ci interroghi, ci imbarazzi, ci faccia vergognare e ci dia fastidio.
Perché la vita non è semplice e se un muratore ucraino, morto per sventare una rapina, ci aiuta a ricordarlo, che sia il benvenuto!
Qualche link per approfondire: