PUNTATA 8 QUADRO. 1
La tentazione è il disastro che imploriamo Dio di aiutarci ad evitare: è stato il tema della scorsa puntata. Il male – «Ma liberaci dal male» – è l’abisso nel quale siamo già-caduti: solo Dio potrà liberarci. È grido, fragore, una sorta di arringa da tribunale. Siamo entrati nel carcere minorile di Nisida, dove il male è di casa: è parola di Luigi. Dio, però, sta in agguato: parola di don Fabio, il custode delle anime-ferite. Nessun posto, come una patria-galera, offre allo spettatore curioso la vertigine di contemplare Dio all’opera mentre libera dal male: manovre da brividi, odore di manesco, cenni e accenni di premura. È la riposta-brusca di Dio al sequestro operato da Satana. Da Nisida a Palermo. Gli ho dato appuntamento a Palermo, nella piazza della vergogna, davanti al Palazzo delle Aquile. “A chi?” – vi starete chiedendo. A Pif, all’anagrafe Pierluigi Diliberto. Volete sapere “perché proprio lui?”. Il motivo è molto umano: il mio sacerdozio, da dieci anni, porta tracce-evidenti del passaggio della sua telecamera impertinente. Dietro quella faccia irriverente, c’è tutto l’animo di un uomo che – come dice il titolo di un suo bellissimo film – va in guerra per amore. Per amore di Ninì Cassarà, Rocco Chinnici, Calogero Zucchetto, Pio La Torre. Tutta gente uccisa anzitempo. Lui, per riscattarli dalla dimenticanza, prende per i fondelli il Male, la mafia. Con un’intelligenza sopraffina.

«È arrivata una fase in cui dobbiamo dire che la parte sana di questa città deve espellere la parte malata. La mafia esiste per il comportamento dei palermitani, non è viceversa. È come un tumore che trova cellule malate e va avanti. Dipende da noi. Quando ti dicono a scuola: “Falcone è morto inutilmente” e tu dici: “Che cosa gli rispondo?”. La risposta è: dipende da noi, dalle nostre azioni, banalmente. Noi decidiamo di cacciare il male, ma noi: palermitani, siciliani. Possiamo avere stimoli e aiuti da fuori, ma noi dobbiamo decidere di sconfiggere il male» (Pif, da Padre nostro)

«Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così», sosteneva Giovanni Falcone. Per cambiarle, però, è necessario che qualcuno si tiri su le maniche. A Palermo succede, ve lo raccontiamo. Senza mai scordarci che siamo tutti bocconcini ghiotti per Lucifero. Che, badate bene di rinfacciarglielo spesso, è un pirla: pirla intelligentissimo, però. Tant’è che non ha mai guadagnato così tanto, in vita sua, come da quando ha fatto spargere voce dicendo che lui è morto: il solito truffatore, tanto fumo, niente arrosto. Però c’è un modo, se volete, per farlo impazzire: prenderlo per i fondelli. Orgoglioso, «non tollera di venir canzonato».
“Riparare” è il verbo di questa puntata: siamo tutti ex-di-qualcosa. Recitando il Padre nostro, s’inizia sempre con «Padre», finiamo sempre con «Male»: «Padre nostro, liberaci dal male». Da una parte il padre, dall’altra il Maligno: in mezzo il nostro campo-di-battaglia. Io, Lucifero, Dio. Più quel grido cavernicolo al quale sta appesa la nostra salvezza, la nostra dannazione: «Liberaci dal male».
Il nome, il regno la volontà: è ciò di cui necessita Dio. Il pane, i debiti tolti, la difesa dalla tentazione, il riscatto: è ciò che serve a noi per scampare. Sommati, risulta il Padre nostro. Controllate: c’è tutto. «Non è possibile recitarlo una volta sola, concentrando su ogni parola la pienezza dell’attenzione, senza che un mutamento, forse infinitesimale, ma reale, non si produca nell’anima». L’ha scritto Simon Weil. C’è scritto nel Pater.


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