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Adesso gli applausi giungono da ogni parte: uno dei rarissimi casi in cui l’Italia intera della politica si ritrova unita nell’usare lo stesso alfabeto per commentare un fatto di cronaca quotidiana. Il fatto è di ordinaria attualità: lo scontro tra un manifestante No Tav (Marco Bruno, nella foto) e un poliziotto che si trovava lì per il puro svolgimento del suo lavoro. Le considerazioni sulla validità o meno della costruzione le lasciamo agli esperti; quello che colpisce è la freddezza usata dal giovane dell’Arma che agli insulti ha reagito con l’elegante silenzio di chi sta sul fronte a difendere la giustizia. Non è la prima volta che succede: ogni occasione sembra buona per assaltare la polizia, per mettersi contro chi difende la legalità, per fare della violenza l’arma migliore per cercare un possibile compromesso.
C’è da giurarci che fino a qualche mese fa questa notizia sarebbe passata in sottotono: in fine dei conti sono anni che assistiamo a scene di questo tipo. Oggi la notizia fa scalpore – e tutti tendono ad impossessarsi del copyright – perché l’Italia ha perso il senso della normalità: il gesto di un ragazzo di 25 anni con la divisa addosso diventa incredibile pur nella sua semplice quotidianità, perché una cosa normale diventa eccezionale quando viene a mancare la normalità. “Ehi, pecorella, sei venuto a sparare? Per quello che guadagni non ne vale la pena. Fatti riconoscere. Io non so chi sei. Parla. Noi ci divertiamo un sacco a guardare voi stronzi.” Certo, ha ragione il manifestante (che a microfoni spenti ha detto d’aver parlato per esorcizzare la paura, ndr): vale la pena per mille euro al mese stare sul fronte di battaglia e rischiare la vita? Eppure con quei mille euro al mese – simbolo della dignità di una fetta di nazione che con quei pochi spiccioli continua a credere nel suo futuro – una famiglia campa, cerca di provvedere alle sue necessità e manda avanti la sua storia. Probabilmente quel giovane carabiniere l’ha fatto perché quello è il suo stile e c’è forse da crederci che l’ultima cosa che ha pensato – nel mezzo di un caos primordiale – sia stata l’intenzione di farlo per essere riconosciuto, stupito pure lui da così tanta attenzione: “signor generale, ho fatto solo il mio dovere. Non sono un eroe, altri colleghi avrebbero fatto lo stesso”. Ogni manifestazione nasce da un qualcosa sul quale voler portare l’attenzione: alla fine sarà lo stile col quale è condotta tale manifestazione a decretare la possibilità o meno di trovare un accordo.
C’è stato un tempo in cui chi faceva il proprio dovere correva il rischio di essere messo a morte. Oggi la moda della morte è stata forse superata, siamo entrati nella fase del “mettere in ridicolo”: siamo nel tempo dell’intelligenza. Cosicché il bambino che a scuola s’applica al suo dovere viene preso in giro dai compagni perché secchione; il prete che s’affatica nel suo quotidiano operare viene ritenuto ingenuo; l’operaio che s’adopra per 900 euro al mese è ritenuto un “non figlio di papà”; quel giovane calciatore che rifiuta l’offerta per truccare la partita è tacciato da “sfigato”; il commerciante che denuncia l’intero fatturato è ridicolo perché fedele allo Stato. Oggi il ridicolizzare la dignità con la quale una grossa fetta dell’Italia continua a portare avanti la sua storia è l’arma che ha in mano la Menzogna per confondere la speranza. Tre mesi fa una notizia del genere non avrebbe scombussolato più di tanto i piani alti del Potere: oggi si riservano di versare fiumi di inchiostro.
Forse pure loro si stanno accorgendo che esiste un’altra Italia alla quale dare voce: l’Italia che non smette di dimostrarsi una signora di stile.

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