Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Ponte Gerusalemme nnn

Ho incontrato Giorgio Ponte un paio d’ anni fa e a colpirmi è stato il suo viscerale amore per Milano. Che, sgorgato dalle labbra di un amabile palermitano, profuma di autenticità ed ha la garanzia sia scevro d’ogni campanilismo di sorta. Stavolta, ci presenta il suo nuovo libro: LEVI – sotto il Cielo della Palestina, attualmente in vendita solo tramite i rivenditori online, sia in formato cartaceo che eBook.

1) In ogni libro c’è sempre una parte di autobiografia dell’autore. Cosa c’è, di te, nel tuo brillante romanzo d’esordio «Io sto con Marta»?
Quantitativamente, potremmo dire l’80%: racconta il mio tentativo di sopravvivere, nella metropoli milanese, facendo i lavori più disparati, mentre inseguivo il mio sogno di scrittore. Marta rappresenta il mio alter ego.
Si tratta di un romanzo a metà tra due generi: commedia romantica e romanzo sociale (quest’ultimo aspetto presente soprattutto nel finale, che ho dovuto difendere dalla proposta di modificarlo, che rifiutai categoricamente), che ha avuto anche la funzione di esorcizzare la mia paura di non riuscire.
Il messaggio importante che vuole trasmettere, al di là delle situazioni comiche o dei dialoghi serrati, è che la crisi si può vincere solo se, mentre lottiamo per la nostra sopravvivenza, ci accorgiamo che accanto a noi gli altri stanno facendo lo stesso. Non ci sono classi da difendere, padroni o operai, dirigenti o dipendenti: tutti siamo schiavi di un sistema che non è più per l’essere umano, tutti dobbiamo lottare insieme per recuperare questa umanità.

cover2) Cosa ha significato per te, all’epoca, il tuo romanzo d’esordio e che significato gli attribuisci ora?
Marta è stato un sogno che si è avverato. La prima pubblicazione è avvenuta online, come per LEVI, e solo successivamente Mondadori mi ha chiesto i diritti. Il suo iter è diventato una specie di sogno collettivo: se era accaduto a me, poteva accadere anche agli altri. Forse le cose belle accadono davvero, ancora oggi, nonostante tutto.
Mi dispiace che il libro non sia stato più sponsorizzato a suo tempo. Con i numeri che aveva fatto in uscita, senza nessun aiuto, sarebbe bastata un po’ più di visibilità perché questa storia raggiungesse tante più persone. All’inizio ne avevo fatto una malattia, poi ho capito che pensare a ciò che si sarebbe potuto fare rischiava di non farmi più vedere di ciò che si era fatto: se penso che quattro anni fa non avevo neppure un editore e ora sono autore di un libro che, fra le due edizioni, è stato letto da più di diecimila persone ho solo da dire grazie.

3) Come ti definiresti, in questo istante che “fissa” questo momento della tua vita?
Grato e in ricerca, anche se ogni tanto la stanchezza si fa sentire: la continua incertezza, l’essere sempre sempre in bilico richiede anche una certa fatica, oltre a mettere costantemente alla prova la fiducia nella Provvidenza.

4) Ci sei stato davvero, in Palestina, dov’è ambientato il tuo «Levi», o è stato solo un viaggio immaginario? Cosa ti ha spinto a scegliere quest’ambientazione?
Visitai la Terra Santa in due occasioni diverse, la prima nel 2000 e la seconda due anni fa, con il Cammino dei Dieci Comandamenti: mentre il primo è stato per lo più un viaggio “turistico”, il secondo aveva curato maggiormente l’aspetto spirituale. Ai tempi di “Levi”, ci ero stato una volta sola. L’idea è nata da quello che doveva essere un esercizio di scrittura: partire da una soggetto già noto, approfondendo la vita di alcuni personaggi secondari del Vangelo. LEVI è una delle storie di questa trilogia, accomunate dalla stessa ambientazione: la Terra Santa, ai tempi di Gesù.

5) Nel testo, avviene un bisticcio importante, tra i due ragazzini, protagonisti, scaturito da qualche parola di troppo che ambedue si rivolgono reciprocamente. Ci sono state parole, frasi od epiteti rivolti a te, che ti abbiano ferito?
Le persone che ci amano di più sono quasi sempre quelle che ci feriscono più profondamente. Se ami qualcuno, è inevitabile che prima o poi ti ferisca. E viceversa. Non è una colpa. Fa parte della natura delle persone, che per quanto simili non arriveranno mai a comprendersi completamente. Nessuno è in grado di immedesimarsi completamente nell’altro, così da non ferirlo mai. E ciò è vero in qualunque tipo di rapporto d’amore, che sia di coppia o d’amicizia. Particolarmente in quelli familiari.

6) In LEVI, risulta fondamentale la figura del padre. Tutte le figure paterne sono, in qualche modo, ferite, e, a causa di ciò, finiscono col ferire. È possibile uscire da questo circolo vizioso? In che modo?

Questa è la storia di chiunque. Il padre e la madre sono figure fondamentali; per il bambino maschio, in particolare, vivere un rapporto ferito con il padre o sperimentarne l’assenza è un’esperienza che lo condizionerà per tutta la vita. Del resto, le ferite dei genitori ci condizionano sempre. Richard Cohen dice che «i bambini sono i migliori registratori e i peggiori interpreti», perché, ricordano tutto, ma non attribuiscono a tutto i giusti significati. Non essendo in grado di capire certi fatti e comportamenti, rischiano di rimanere feriti indelebilmente anche da cose non particolarmente gravi. In ogni caso, quale che sia il male ricevuto dai genitori o da altri, l’unico modo per sanarlo è portarlo alla luce e parlarne. Se non si dà voce al male, non lo si può nemmeno perdonare. E, senza il perdono, non c’è possibilità di guarigione.

7) «L’amore non è questione di meriti, mai»: sembra essere questa la “morale” del tuo libro. Cosa ti ha portato a percepire questa realtà?
Questa frase è l’unica aggiunta posteriore, rispetto alla prima stesura di otto anni fa. credo che questo costituisca il centro dell’esperienza cristiana. Ciò che abbiamo ricevuto, a partire dalla vita, è sempre dono gratuito, che non deriva da meriti personali. Ed è talmente grande, che non potrai mai fare abbastanza per meritarlo.
L’amore di Dio non dipende dal nostro impegno. Gesù scardina la logica “retributiva” tipica dell’ebraismo, che ogni tanto però sopravvive ancora in un certo mondo cristiano e cattolico: noi non dobbiamo fare il bene per meritarci qualcosa, o per paura di una punizione, ma perché il compierlo ci rende felici. Non è la paura della punizione che ci guida, ma la consapevolezza del bene maggiore.
Chi ti ama davvero, ti ama perché esisti, non perché sei bravo: questo è il modo in cui Dio ama le proprie creature. Su questa terra è l’amore della madre quello che più si avvicina a un’esperienza simile. Una madre è portata ad amare il figlio sempre, anche quando è un assassino, solo perché è suo figlio. Quando accetti questa gratuità, tutto è più liberante. Se tutto quello che hai non te lo meriti, te lo godi di più: la vera sfida è accettare di lasciarsi amare, senza avere la necessità di corrispondere a delle aspettative.
Il vero problema siamo noi. Siamo noi che, non ritenendoci all’altezza delle nostre aspettative, pecchiamo di orgoglio e rifiutiamo questo amore. Teniamo Dio lontano, in attesa di essere perfetti per poter accettare che lui ci ami così. Quando la nostra umana fragilità è già superata dalla Sua grazia. Noi siamo convinti di dover cambiare, per poter ricevere amore. Invece è vero il contrario: è accogliere l’amore che ci cambia!

8) Nel ringraziamento finale, concludi con un bellissimo augurio: “Perché la Bellezza posta dentro di voi vi conduca al Dio vicino, di cui portate impressa l’immagine e che vi attende per mostrarvi chi siete, da tutta l’eternità”. Cos’è, per te, la Bellezza?
Bellezza è quel frammento di Eternità che c’è in ogni cosa, per seguire il quale noi viviamo. Solo la Bellezza ci muove. Nella bellezza, risiede l’autenticità della vita. La sfida consiste nel discernere la vera Bellezza da ciò che sembra bello, ma è solo appariscente: quei surrogati che sembrano soddisfare i desideri del cuore, per poi lasciare assetati e insoddisfatti più di prima.


Il libro LEVI – sotto il cielo della Palestina è disponibile in tutti i migliori negozi digitali (Amazon, Omniabuk, Bookrepublic, iTunes, google Books , Agapea …) L’unica libreria che attualmente vende Levi è la libreria “Paoline” di Palermo (Via Vittorio Emanuele, 456, 90134 Palermo). 


16265447 1359547790774895 8989083318596698908 nMi chiamo Giorgio Ponte, e nella vita faccio il precario per Provvidenza e lo scrittore per Vocazione.
Sono nato a Palermo nel 1984, ultimo di quattro figli, in una famiglia incasinata e forse un po’ disastrata come solo le famiglie migliori sanno essere. A casa mia gira voce che volessi fare lo scrittore da quando di anni ne avevo quattro e la scrittura non sapevo cosa fosse.
Muovendo i miei primi passi da lettore tra “Fabbriche di Cioccolato” e “Paesi delle Meraviglie” (e Topolini, diciamolo pure!), avevo presto capito che il potere salvifico di una storia ben scritta sta nel permetterti di fare un’esperienza di vita “reale” comodamente seduto sul divano di casa tua. Perciò se avessi usato questo potere per raccontare storie di speranza, avrei potuto aiutare le persone a credere nella Speranza racchiusa nella loro vita, pur senza sapere nulla di loro.
Non avere amici aveva anche i suoi lati positivi (sì, come no…): un mucchio di tempo libero per esercitare una serie di talenti artistici oltre la scrittura, quali canto, recitazione e disegno. Ed ecco spiegato il mio percorso di studi… variegato (schizofrenico suonava male).
Cameriere, gelataio, grafico, commesso di lusso, commesso schiavo, commesso di ogni tipo, e infine insegnante di religione: ci sono voluti cinque anni e ogni sorta di lavoro possibile perché capissi che un libro comico che parlava contro questo sistema del lavoro non sarebbe mai stato pubblicato da nessuno.
Cameriere, gelataio, grafico, commesso di lusso, commesso schiavo, commesso di ogni tipo, e infine insegnante di religione: ci sono voluti cinque anni e ogni sorta di lavoro possibile perché capissi che un libro comico che parlava contro questo sistema del lavoro non sarebbe mai stato pubblicato da nessuno.
Io però avevo scritto quella storia di Speranza per le persone. E perciò dovevo fare in modo che le persone la ricevessero. Così, su consiglio di un’amica, cui devo la vita in molti modi, decisi di fidarmi di Dio pubblicando “Io sto con Marta!” online a mie spese. 
Marta scalò la classifica di Amazon in un mese. Di lì a poco, attraverso un corso di scrittura creativa in Cattolica che aveva dato il via alla mia avventura editoriale conobbi l’allora direttrice della narrativa Italiana Mondadori, che dopo avermi inizialmente rifiutato, capì di essersi sbagliata.
Milano non mi è stata Madre solo sul fronte professionale, ma anche umano e spirituale. In questa città dove il tema dell’omosessualità era sdoganato, nel bene e nel male, da molti anni, ho potuto fare pace con le mie ferite e smettere di avere paura della mia fragilità, vivendo alla luce del sole per come ero, senza fare dell’attrazione per gli uomini né una bandiera né un tabù. E paradossalmente questo mi ha portato ad acquisire una sicurezza tale come uomo, da sentirmi all’altezza di una donna, fino a scoprire che il mio corpo era in grado di accoglierne una, se esso era allineato con il mio cuore.
Il 13 Maggio 2015, sei mesi dopo l’uscita cartacea di Marta, una nuova storia di speranza prese il via con il mio articolo su Tempi “Io omosessuale fra le sentinelle in Piedi”, uscito in seguito a un altro dell’ottobre precedente scritto in forma anonima, dove raccontavo la mia esperienza di persona con tendenze omosessuali in difesa della Chiesa e della Famiglia Naturale. Il 30 giugno 2015, ha quindi partecipato alla puntata di Beati voi, Beati i puri di cuore, con la sua testimonianza e le sue Beatitudini.
Da allora ho rinunciato al mio lavoro di insegnante, sperimentando ancora di più la Provvidenza, girando in lungo e in largo l’Italia per raccontare la mia storia e incontrare fratelli con le mie stesse ferite che avevano bisogno di aiuto, in un cammino faticoso quanto ricco di cui non so intravedere la fine, ma che mi entusiasma scoprire passo dopo passo.
La vita di una persona è fatta di molte cose, e la mia, come scrittore e come uomo, non fa eccezione. Se è vero perciò che a un certo punto Marta e la sua storia di speranza si sono dovuti fare da parte per raccontare un’altra storia di speranza che era importante fosse raccontata, desidero però con tutto il cuore che la mia omosessualità non diventi l’unica cosa sulla quale io sia chiamato a parlare d’ora in avanti.
[tratto dal suo blog: Liberi di amare]

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