Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Il rimorso è un soliloquio, il perdono è un dialogo. A chi vorrà cimentarsi nell’azzardo di decifrarne la bellezza, sarà vietato l’uso dei trattati e dei saggi. Dell’amore e delle sue peripezie non si potrà parlarne se non conversando, laddove uno dei due s’aspetta un cenno dall’altro. Armato del linguaggio dei bambini – quasi allergico a quello consunto dei rabbini – papa Francesco ha intessuto una conversazione, con il giornalista Andrea Tornielli, in capite alla quale ha messo da subito le cose in chiaro: Il nome di Dio è Misericordia (Piemme, 2016). Con la maiuscola, a ribadire – se ancora ce ne fosse bisogno – che la misericordia, stavolta, non è un teorema astruso, nemmeno un saggio nato per ingarbugliare le idee. Misericordia è una presenza, la più ambiziosa e paradossale: Gesù di Nazareth. Alle lamentele di André Gide – «Comandamenti di Dio, avete indolenzito la mia anima!» – il Papa risponde con le care imperfezioni di Francesco di Sales: «(Dio), in un certo senso, ama le mancanze in quanto gli danno l’occasione di mostrare la sua misericordia». Punto, a capo.
Quello che Francesco, confidandosi, ritrae è un Dio-restauratore: le strade slabbrate, le esistenze deragliate, gli istanti frantumatisi, gli stupori smunti sono circostanze da Lui ambite: nell’immondizia non tutto è spazzatura. C’è del Paradiso anche nell’apparente inferno: «La colpa ci ha giovato più di quanto non ci abbia nociuto, poiché essa ha dato occasione alla misericordia divina di redimerci» annotava Ambrogio di Milano. Entrare in conversazione con Francesco è, dunque, fare i conti con un Dio che le prova tutte – “proprio tutte” verrebbe da dire leggendo – per dare all’uomo la percezione di quanto manchi al suo cuore d’Amante. Anche d’Amore e d’Amato: un’esagerazione d’amore. E’ su quest’immagine di misericordia – il rovescio della creatura che torna dal Creatore – che il papa argentino fa sgorgare lo stupore: non è la pecora che, smarrita, va ricercando il Dio-pastore. E’ il Pastore che, sperimentando una mancanza, s’infila «nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli». E’ il volto suadente della misericordia: di Zaccheo, dell’emoroissa, di Maddalena e di Levi. Di tutte quelle canaglie verso le quali Dio non ha mai celato la sua predilezione, con le quali ha mostrato di saper vincere giocando d’anticipo: la carezza al posto del rimbrotto, lo stupore alla regola, la gioia alla paura. Governare così, è roba-da-Dio, lasciarsi rimettere in forma da Dio è il segreto della santità. Certe cadute sono annunciazioni: «A volte mi sono sorpreso a pensare che ad alcune persone tanto rigide farebbe bene una scivolata, – confessa il Papa – perchè così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Dio». Prospettive rovesciate, o forse raddrizzate, dopo annate di volontarismo titanico, più o meno ortodosso, quasi al limite della sopportazione.
E’ un Dio degli spiragli, il Nazareno dei pertugi, il Cristo delle crepe: segni quasi infinitesimali, percezioni più che evidenze, desideri prima che realtà. Un Dio che, quando c’è in ballo il destino anche della creatura più giamburrasca, non lascia nulla d’intentato: la spina dorsale della salvezza non è stata costruita con architravi di calcestruzzo, ma con stecchini di legno. Le pietre ieri scartate sono, oggi, pietre angolari: una meraviglia per la vista, a prima vista.
Misericordia a tutti i costi: misericordia a basso costo? Nient’affatto, tutto all’opposto: «Il peccato è più di una macchia. Il peccato è una ferita». Vietato leccarla, raccomanda Francesco. Meglio coglierla da terra e, pur cenciosi a noi stessi, portarla a Dio come l’ultima cosa rimastaci: «Il nostro peccato diventa quasi un gioiello (…) Si fa i signori quando si regalano i gioielli, e non è sconfitta, ma gioiosa vittoria lasciar vincere Dio». Certe partite, il Papa mostra d’esserne al corrente, non finiscono mai in parità, com’è strana usanza all’oratorio. Quando ad essere sfidato è Dio, perdere è ritrovarsi. Ritrovarlo.
I perdenti ringraziano per la conversazione: sembra scritta apposta per loro.

(da Il Mattino di Padova, 4 marzo 2016)

 

TornielliBergoglio

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