Da teologo dilettante non me ne intendo di galline, per cui mi fido di quello che mi ha spiegato un’amica veterinaria: che la struttura alare di una gallina, in relazione al suo peso, non è adattissima al volo. La gallina, tuttavia, non lo sa: è questo il motivo per il quale lei continua a fare dei tentativi goffi e ridicoli senza riuscire ad alzarsi in volo. Ripete sempre il solito verso, senza arrangiarne uno di nuovo qualche volta: «Passata è la tempesta – scriveva Giacomo Leopardi -: odo augelli fare festa, e la gallina, tornata in su la via, che ripete il suo verso». Se aggiungiamo, poi, il loro becco proverbiale, oltre alle loro ali inabili a volare, rischiamo di concludere che l’uomo e la donna, più che dalla scimmia, discendano dalla gallina: mettono il becco dovunque! Con le galline, dunque, facciamoci il brodo, non le discussioni verrebbe da dire. Non fosse che anche il Papa, in una torrida domenica di luglio, porta le galline fuori dal pollaio per ospitarle sul balcone di Piazza San Pietro. E sculacciare i “cristiani” a non comportarsi come loro: «A volte noi incominciamo le giornate automaticamente, a fare le cose: come le galline. No! Dobbiamo incominciare le nostre giornate, prima di tutto, guardando al Signore, prendendo la sua parola: sia questa l’ispirazione».

Il Papa ha il fiuto di un cane per il tartufo in materia di attrattiva e bellezza: sa bene che oggi, per rendere stuzzicante la via della santità (della castità) agli occhi di un giovane occorre trasmettere la convinzione che Cristo non annulla la nostra individualità, non umilia la nostra laboriosità, ma ci aiuta ad esaltarle. E la Chiesa, come l’ha immaginata Cristo, non è viver intruppati in un esercito che omologa tutti ma abitare una famiglia dove si apprezza il contributo di ciascuno. È l’invito (assai molesto e irriverente) a smetterla con la vecchia retorica di quel “progetto di Dio” dove tutti abbiamo un posto già assegnato, come fossimo dei pezzi di un puzzle semplicemente da assembrare, incastrandoci a vicenda. Il suo, invece, è l’invito pressante a scoprire il “proprio posto nel mondo”, a servizio degli altri. “E che c’entrano le galline?” diranno, un po’ dovunque, i denigratori di un Papa troppo fisico per non acciuffare al volo il non-detto delle sue parole. La sua, va esplicitato, non è una “teologia dei volatili”: nemmeno un disprezzo per una natura così perfetta d’essere più volte additata come madre. La sua, per chi scrive, è una tirata d’orecchi che giustifica le galline: noi, a differenza loro, siamo fatti per volare. Abbiamo un’anima che, in relazione alle nostre possibilità, ci dà la possibilità di avvicinarci al Cielo: magari inizialmente a tentoni, persino con dei balzi maldestri, anche un pò impacciati. Nulla, però, riuscirà mai a motivare il nostro vivere a vuoto, in automatico: «come le galline» per l’appunto.

È in gioco la nostra fede, ne va dell’identità stessa del cristianesimo: la sua sola possibilità è che il cristianesimo – questa lunghissima storia d’amore tra un Dio tre volte santo e un uomo peccatore – continui ad accadere sempre nuovo, non come un dejavù, una noiosa ripetizione. Non è un incontro il semplice sentire citare il Vangelo (o il Catechsmo della Chiesa Cattolica); nemmeno ascoltare per ore e ore i pensieri che una pagina di Vangelo suscita in qualcuno. Questo, se volete, è assistere ad un intrattenimento che prende spunto da una suggestione religiosa. L’incontro con Cristo, invece, avviene dentro le trame di un episodio, di un qualcosa che accade sotto i nostri occhi. Certo che può anche essere una persona che parla ma a colpirti, però, a convincerti, non sono le parole che pronuncia (il bla-bla-bla del bla-bla-ba) ma il cambiamento che quelle parole mostrano d’aver prodotto in quella persona. Le galline hanno un posto, un ruolo assegnato nel pollaio: fanno parte d’un esercito di galline. Il cristiano, invece, è invitato a scoprire qual’è il suo posto (che c’è) nel mondo. Per poi alzarsi e rischiare di realizzarlo. Dal momento che l’unica creatura a ottenere il successo rimanendo seduta è la gallina. Che più invecchia e più ingrassa la cucina.

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