Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
vetro

Come una lettera che non chiede risposta. E a tenere attaccato il francobollo alla busta il collante di mille interrogativi destinati a rimanere senza speranza alcuna. David aveva diciassette anni e tanti sogni: tra un pallone da basket e la passione delle barche abitava l’alfabeto e la grammatica di un giovane che della sua vita voleva essere protagonista e non spettatore. Nessuno costruisce una barca per lasciarla nel porto: le barche nascono per abitare il largo del mare. Domenica la barca di Simone è affondata: “sono un peso”, ha lasciato scritto come traccia unica del suo ultimo componimento. Sciolta l’àncora, della sua barca è rimasta quell’unica traccia, leggendo la quale oggi i suoi amici avvertono l’eco di un qualcosa che l’ha anticipata: quella diversità più volte sbattutagli in faccia d’essere stato adottato. L’adozione è un gesto d’amore, è un frammento di umanità in un mondo complicato, è aiutare la speranza a mettersi in piedi, è dare futuro a chi è costretto a viaggiare controvento, e magari senza olio, nella vita. E’ un atto di coraggio che non può un giorno diventare motivo di vergogna in chi ne è stato protagonista.
Lo chiamano bullismo ma è molto di più: è il latino “imbecillitas”, che il dizionario Devoto traduce con “debole”. Non è bullismo, è debolezza: di sogni, di speranze, di pensieri. Perchè irridere il diverso da noi è ignorare l’essenza della vita: che un giorno anche noi potremmo essere diversi rispetto a qualche altro. Con David s’irride il fatto dell’adozione, con il ministro Kyenge s’irride il fatto della nazionalità, con il disabile s’irride la fiacchezza di un corpo, con un vecchio s’irride la vita che scorre. Definirlo bullismo è compiere il gesto dei bambini che si nascondono gli occhi con le mani nella speranza di non essere visti. Definirla “imbecillitas” è riconoscere che c’è anche un popolo giovane e deluso che abita nelle nostre scuole; e la delusione non è che bassezza di ideali che ti porta a distruggere l’altro solo perchè in lui c’è qualcosa che non ti piace o che il più delle volte non accetti di conoscere. Piacerebbe chiedere a questi ragazzi – armati di “parole mitragliatrici” – cosa ne pensano di chi uccide. Probabilmente direbbero che merita la pena di morte e che deve marcire in carcere; eppure a volte certe parole non sono altro che un anticipo di morte, un invito a togliere il disturbo perchè “di peso”, un’antipatica dichiarazione di superiorità. No, signori: questo non è bullismo, è un’angosciante debolezza che serpeggia indisturbata dentro troppe anime giovani e che li porta a giocare ad eliminazione più che a battagliare. D’altronde per fare le battaglie servono schemi e tattiche, alleanze e progetti: serve coraggio e ardimento di spirito.
La barca è affondata, non solo quella di David però. Perchè ad essere un peso non era la sua vita ma la stupidità dilagante, le parole aguzze, lo spirito afflosciato. C’è un posto per ognuno nel mondo e ognuno ha diritto ad abitare quel posto da cittadino, non da campeggiatore. E se l’origine di una storia affonda in una trama diversa dalla nostra, nulla giustifica che quella trama sia da irridere selvaggiamente: in ogni caos un ragazzo o una ragazza si possano trovare nella vita, quello sarà il punto di partenza per ogni gesto di rinascita, non di morte. Perchè – come scriveva Antoine de Saint-Exupery “non devi incontrare l’uomo in superficie ma al settimo piano della sua anima, del suo cuore, della sua mente. Altrimenti finirete per versare sangue inutilmente”. Al settimo piano, cioè nelle profondità della storia di ognuno; laddove non contano solo le origini – che nessuno di noi si sceglie – ma le inclinazioni del cuore che disegnano le traiettorie verso le quali s’incanala un’esistenza.
Le altre domande servono. Se non altro per sopravvivere.

(da Il Mattino di Padova, 8 maggio 2013)

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