Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

pexels photo 8543573

Vi siete mai chiesti cosa lascerete ai vostri figli, a quelli che sono usciti da voi, dalla vostra carne? E in un senso più ampio, vi siete mai chiesti cosa lascerete a quelli che verranno dopo di voi, anche se non sono vostri figli?
Io me lo sto chiedendo da alcuni anni. Non ho cominciato subito, ci ho messo un po’ per capire che il ruolo di un padre, di un genitore, è anche quello di costruire un’eredità per poi lasciarla ai propri figli, per rendergli la vita un po’ meno difficile, perché non si affannino su tutto, come magari è toccato a noi. Solo che l’eredità a cui vado pensando non è solo un’eredità materiale, spirituale o morale. È anche questo, ovviamente, ma non solo. L’eredità a cui penso sta assumendo più che altro i tratti della terra, si fa largo in me l’immagine del mondo, di un luogo bello e buono da abitare. Mi accorgo pure che i figli a cui penso non hanno solo i lineamenti delle mie figlie, ma anche quelli dei bambini, delle generazioni che cammineranno su questo pianeta tra duecento, trecento anni.

Nella tradizione ebraico-cristiana, Dio è colui che sempre invita ad andare avanti e mai tornare indietro. Lapidario il modo in cui si presenta a Mosè: – Vattene dalla tua terra.
Si susseguono, poi, indicazioni di questo tipo, più o meno, in un modo o in un altro, a tutte le figure che costellano il cielo biblico: – Andate, continuate ad andare.
Ma dove? Vien spontaneo chiedersi, dove bisogna andare?: – Verso la terra che io v’indicherò.
Nella mente di Dio c’è tutto quello che ogni padre e ogni madre desiderano per i propri figli, lasciare in eredità una terra, una terra promessa, un luogo in cui scorrono latte e miele.
Dio s’impegna con Israele a dar loro un frammento di terra, un granello di pianeta. Vuole darlo a loro, ai suoi figli.

Guardando a queste luminose pagine del testo sacro e al mondo che mi sta intorno, sorge in me spontanea la domanda: quale terrà lascerò alle mie figlie?

Quando cammino per le strade della mia città, per i brandelli di campagna alla periferia di Padova, per portarle a giocare tra i pochi campi rimasti, le osservo attentamente, guardo i loro sorrisi, la spensieratezza nei loro volti. Vederle felici è la mia gioia più grande. Vivo un momento di estasi.
Poi, però, il rombo di una moto o il rumore funesto del camion che corre nella tangenziale a due chilometri di distanza, distrugge quell’incanto e mi porta dentro a quello che vivo come un dramma e che si riassume in quella stessa domanda: quale eredità lascerò alle mie figlie? Quale terra promessa per queste bambine che stanno giocando di fronte a me?
Alzo gli occhi e osservo l’orizzonte. Vedo il mio Veneto, il mio amato Veneto, dove il boom economico si è tradotto in una lunga coperta di cemento e asfalto, dove se uno vuole dire “natura”, deve prendere la macchina, percorrere settanta chilometri e raggiungere le dolomiti o qualche spiaggia nascosta sul delta del Po. Guardo la plastica che invade anche i fossi della mia via, penso ai pfas che hanno inquinato la seconda più grande falda d’Europa qui, a trenta chilometri da me.

E ancora torna la domanda, quasi come un tormento: quale terra promessa per le mie figlie, per i bambini di domani?

Sento tutto il divario di due generazioni, di chi ha capito che non c’è un altro pianeta e di chi ancora fatica a comprendere l’utilità della raccolta differenziata, di chi crede che la catastrofe sia già qui, già in atto e chi, ancora, la proietta in un futuro gaudente, dove qualcuno, in qualche maniera, risolverà ogni cosa.

Oggi ricordiamo San Francesco, un santo che, forse mai come in questo tempo, è così presente nel magistero e nell’azione della Chiesa.
Prendo e rileggo il suo cantico, con calma, oltre l’ecologismo, un po’ hippie, che lo avvolge, cercando di comprendere quale spirito, piuttosto, lo abbia condotto a comporre, mezzo cieco, questa elegia del Creato.
Passano i versi e arrivo a Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra…

Madre, mi s’imprime nel cuore. Scorgere nella terra una madre e trattarla di conseguenza, come una donna amata che ne sustenta e governa

E così non muore in me la speranza di essere ancora in tempo per lasciare una buona eredità, una terra non del tutto com-promessa, a quelle bambine che continuano a giocare senza pensieri, inconsapevolmente certe che il loro papà non le tradirà e farà di tutto perché la terra resti sempre madre.


 Fonte immagine: Pexels

Alberto Trevellin (Padova 1988), laureato in scienze religiose prima a Padova, poi a Venezia, è insegnante di religione. Sostiene che i bambini salveranno il mondo e che senza di essi non potrebbe vivere. La mattina, quando si sveglia, guarda verso il monte Grappa, per il quale ha un amore smisurato. Ama camminare tra le alte cime delle Dolomiti, correre in mezzo ai boschi, andare per sentieri sconosciuti. È sposato con una donna che crede affidatagli da Dio e ha due bambine bellissime quanto vispe.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy