b16Qualora servisse, anche un Papa – che nell’immaginario collettivo stende encicliche, documenti e alti pronunciamenti magisteriali – è capace di prendere carta, penna e comporre una lettera. Per salutare, per raccomandare, per raccontare di una tristezza che potrebbe albergare anche nel suo cuore di Condottiero del Gregge di Cristo. E’ un gesto semplice e altissimo nella sua familiarità quello che Benedetto XVI ha compiuto scrivendo una missiva a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica nei confronti della Fraternità Pio X. Per togliere le voci di corridoio, per far luce sugli aspetti di verità, per fugare ogni dubbio che potesse intaccare la validità di un gesto.
Il Santo Padre lo sa bene: oggi la vera sfida e la massima priorità è quella di condurre gli uomini a Cristo, di mostrare la bellezza, l’amabilità, lo stupore e l’intrigante misericordia di un Dio che – per bocca dell’apostolo Pietro – invita a tener sempre in serbo motivi per “dare ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15). In un’epoca che da tempo ha annunciato la sua voglia matta di correre e con-correre contro Dio, al cristiano non basta più dirsi “credente” per toccare il cuore del fratello lontano. Gli serve il “di più” della credibilità: quei gesti, quelle movenze, quegli atti che traducano nella vita la gioia d’aver incontrato la bellezza del Risorto. Benedetto XVI non illude ma neppure delude quando – affacciandosi sulla finestra e contemplando il volto della sua Chiesa – scopre delle imperfezioni, dei morsi e dei divoramenti che parlano di una libertà mal applicata, di una fede che lentamente si sta spegnendo in tanti cuori. Finora il cristianesimo ha vissuto su un’ambiguità: essere cristiani senza diventarlo, praticanti senza tenere un cammino di fede, ignorando pure la grammatica italiana nella quale di chi crede si dice “credente” e non “creduto”: cioè un’avventura da rinnovare giorno dopo giorno, gesto dopo gesto. Il clima – e il Papa non teme dirlo – lamenta qualche interferenza di troppo: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”. Ma se Dio sembra lontano e insignificante per tanti nostri compagni di viaggio, occorrerà saper far nascere dentro di loro la passione per Cristo, il faticoso fascino nascosto tra le pieghe del Vangelo, il mistero di un Dio sorprendentemente al di sopra delle nostre aspettative. E’ la lezione incastrata dall’evangelista nella lettura di oggi: non basta andare in chiesa per far contento Dio. Sono le motivazioni quelle che Dio va cercando, è lo stile quello che va chiedendo, sono gesti nuovi quelli che va proponendo: forse la cacciata di tanti mercanti e contrabbandieri dal Tempio fu ideata perchè quell’Uomo – Autore della Vita – sa cosa s’annida nel cuore delle sue creature.
Benedetto XVI da tempo c’ha abituati alla fatica della Verità. Già altre volte ha evitato di ingraziarsi il mondo dei dotti cavandosela con qualche banalità modernista: preferisce la verità affermando che la gente di mondo, più o meno, se n’infischia della fede cristiana. Nietzsche le ha dato la notizia della morte di Dio e loro hanno preso a guardarsi l’ombelico.
Il successore di Pietro non s’arrende: riparte chiedendo la complicità di cuori fedeli e menti libere nel ricondurre l’umanità a Cristo. E sentirsi meno soli in quest’ardua sfida.

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