[ “Conversazione notturna” – A colloquio con Claudia Koll – attrice ]
Quella di giovedì 11 settembre 2008 sarà una data che la piccola parrocchia di Villanova di Forlì faticherà a dimenticare. Oltre cinquecento persone hanno preso parte alla “Conversazione notturna con Claudia Koll”, ideata e presentata da don Marco Pozza, con il saluto del parroco don Libero Gardelli. E’ stata la festa di una comunità attiva, impegnata e desiderosa di lasciarsi interpellare e scuotere dalla Parola Eterna. Silenzi, canti e commozione hanno intervallato una serata che ha voluto aprire il cammino che questa piccola comunità ha ideato per quest’anno: “Conversazioni notturne con Paolo di Tarso” (ogni secondo venerdì del mese) in compagnia del sacerdote vicentino.
CERN di Ginevra, 10 settembre 2008, ore 10.25. I protoni iniettati nel sistema compiono il primo giro di 27 km. A impresa lanciata compiranno 11.000 giri al secondo pari alla velocità della luce. E’ l’ennesimo parto dell’uomo che s’accinge a firmare l’impresa del secolo: ricreare le condizioni che resero possibile lo scoppio del Big Bang. L’uomo, scortato da un sogno in tasca: rintracciare la cosiddetta “particella di Dio” per riassaporare l’inedito dei primi attimi della creazione, questo ineguagliabile concerto che accese il respiro della storia. Un Dio che, infastidito dal nulla, s’appropinqua alla terra. L’ammira. L’accarezza. La bacia. S’insinua tenero nel profondo delle sue labbra fino al punto che il suo respiro diventa il respiro della terra. Due respiri che si confondono, s’intersecano, s’aggomitolano. Due respiri che diventano un unico respiro. Perché nella scienza ignorante di Dio 1+1 non fa mai 2. Ma sempre e solamente 1 più grande.
Ad attendere il risultato del CERN comparirebbero le rughe appena sopra il volto. E un pizzico di delusione: anche a Babele quella volta rimase solo un pugno di polvere. E una miriade di lingue. Contrariamente, a tuffarti da sconsiderato dentro la fiumana dei Rotoli Sacri scopri che quell’esperimento è insignificante. Folle. Babelico. Inutile. Esattamente: è umano. Perché le “particelle di Dio” non viaggiano nei laboratori, non nuotano nell’Acqua Lete, ma prendono vita tra le strade, nelle piazze e nei quartieri delle città degli uomini. A mettere il naso sull’uscio della Scrittura Sacra, senti profumo di pane e di bucato. Di mani, di fuso e di legno. Di vita. E’ mio onore stasera bussare e aprire una delle tante porte – lei non è l’unica – che mi rendono familiare la Scrittura. Che la rendono un paese dove cielo e terra intrattengono lunghissime conversazioni notturne. E farvi sedere al tavolo con questa piccola “particella di Dio”.
Facilmente immaginabile: da bambina il viso odorava di bellezza. Da ragazza il fascino premiava. Da donna divenne seducente. Sognava, faceva sognare, guadagnava con i sogni. La bellezza risiedeva nel DNA di questa bambina che s’era addirittura cambiata il cognome per diventare una star. Più o meno come a Ginevra: pure lei pensava che la bellezza fosse un intruso apprestato da mani umane. Peccato o fortuna volle che il brevetto fosse depositato altrove. E l’Inventore un giorno le presentò il conto. Perché era attento e intento alla sua felicità. Perché sa che quando tutto gli va bene, quando ha tranquillità economica, prestigio sociale, l’uomo è sicuro di se stesso, si sente al centro del mondo, si sente un Dio, anche se continua ad adorare il Dio dei cieli che – secondo la sua povera testolina – gli ha concesso soldi e onore perché se li è meritati con la sua onestà e le sue opere buone. E allora Dio gli fa la più grande grazia: gli da un gran calcione nel culo che lo manda con il muso nella polvere. Da’ una scossa all’edificio di sabbia, di presunzione, di illusione che quell’uomo si è costruito. Nel cadere, quell’edificio fa un gran polverone. Quell’uomo non vede, non capisce niente. Ma poi, un po’ alla volta, il polverone si dirada, e l’uomo comincia a capire, a vedere la realtà della vita, a respirare un’aria nuova di libertà. S’è risvegliata quella stella che abita nell’oscurità del nostro nome. Perché la vita non avanza per delle coercizioni, ma per una passione. E la passione fiorisce da una bellezza: intuita, intravista, gustata.
Gesti, parole, emozioni capaci di vincere il cuore.
Di vincere e con-vincere. Perché questo è l’incredibile sogno di Dio: che nessuno sia solo nella vita e che nessuna casa sia senza festa del cuore.
Il bambino e la bambina sognano. Hanno il diritto di sognare. Si nutrono di sogni. Ma rimangono sempre sogni di bambino. Il resto – assicura l’ex tagliatore di teste Saulo di Tarso – sarà tutto da grattare con i denti: “Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato” (1Cor 13). Perché, è proprio vero, non si può rimanere sempre bambini. Non si deve. Non è corretto. Nei confronti di Dio, della vita, di se stessi.
Sei la nostra benvenuta, stasera, carissima Claudia. Ad accoglierti è una piccola ma tenace parrocchia di periferia. Una comunità cristiana che s’accampa alla periferia della città. Un parroco di periferia, don Libero. Un pugno di gente che ha voglia di fare. Meglio: che ha voglia di esserci. Meglio ancora: che ha voglia di scalare il sentiero della santità. Orgogliosi d’essere un quartiere di periferia: perché tu ce lo racconterai subito che Dio parte sempre dalla periferia per trasformare il mondo. Tu, donna di periferia. Io, prete di periferia. Loro, cristiani di periferia. Il complimento più bello che ti afferra per il mantello e ti getta violento nelle prossimità più prossime di donna Maria Nazarena. Lei era donna di Palestina: piccola provincia periferica dell’impero romano. Donna di Galilea: la regione ai margini d’Israele. Quasi Siria, quasi Libano, quasi eretica. Donna di Nazareth: paese mai nominato nella Bibbia. Senza storia, senza ricordi, senza futuro. Donna in una città di uomini. Donna giovane: ma il popolo era comandato dagli anziani. Ragazza analfabeta: in una religione fondata sulla Parola. Donna incinta: prima di vivere assieme con uomo.
Donna di periferia. La bellezza di ciò che l’uomo spregia!
Nella parrocchia di Villanova quest’anno s’è deciso di fare le cose in grande. Esageratamente. Oppure nel nascostamente piccolo: dipende sempre dalle prospettive. Ogni secondo venerdì del mese ci daremo appuntamento per scoprire la figura intrigante, affascinante, deleteria, massacrante, sublime, misteriosa, celeste di Saulo di Tarso. Convertito in Paolo per quello strano trucco di cambiare i nomi ch’era il passatempo riconosciuto dell’Uomo di Nazareth. In sua compagnia sbatteremo il naso contro la Parola: quella Parola che parla davvero, però. Quella Parola che, se hai l’ardire sfrontato di appostarti nudo in fronte a Lei, ti fa sentire freddo. Ti prende per i capelli, ti stramazza a terra, t’accarezza e ti sfiora, t’ingigantisce e ti massacra. Ti stupisce, t’innervosisce, ti fa sentire le vertigini. T’impoverisce per arricchirti. Noi, Paolo-Saulo e quel vecchio Restauratore d’uomini svegliatosi nella casa di Nazareth. Tu stasera ci trovi all’entrata di Tarso: cioè all’inizio del nostro cammino. L’amico che ci verrà a trovare a maggio ci troverà appena dopo Damasco: in mezzo c’è tutta la via che porta a Damasco. In mezzo, come canta Nicolò Fabi, “nel mezzo c’è tutto il resto/ e tutto il resto è giorno dopo giorno/e giorno dopo giorno è/silenziosamente costruire/e costruire è sapere e potere/rinunciare alla perfezione” (N. Fabi, Costruire). Il resto: ovvero l’avventura di un uomo che non s’è convertito. S’è trasformato.
Qualcuno vive a Tarso. Qualche altro a Damasco. Altri ancora a Villanova: non importa. E’ legge accertata nella Scrittura che quando tu apri la tua vita a Dio non devi più avere dimore. Non puoi accettare una dimora. La tua rotta la interpreterai con le ginocchia piegate verso le stelle. Tanto non vinci: è impossibile rimanere latitanti quando c’è un mandato di cattura emesso dall’Alto. Nessuno è uscito indenne da quell’incontro.
Quella di stasera sarà l’ennesima conferma.
Nelle mie vallate questi son giorni di frenetica preparazione: il rumore dei campanacci, lo sferrare dei cavalli, il raglio degli asini e le strade odorose di strame pre-annunciano l’antichissima celebrazione della transumanza, questa splendida liturgia contadina che ancor oggi incanta, affascina e strega. Transumanza è termine latino: deriva da trans – humus (che significa spostarsi da un terreno ad un altro). E’ l’avventura del bestiame che dalla montagna scende a valle. Perché prima dalla valle era salito alla montagna.
Quella di stasera è la storia di una transumanza tutta biblica. Che racconta di un passaggio dall’amor profano all’amor sacro. Lasciandosi guidare dal cielo. La storia di una donna che, pizzicata da Dio in “eccesso di velocità” al pari di Paolo di Tarso, ha accettato di farsi ammanettare dalla sua seduzione.
Scrisse Mario Rigoni Stern, compianto scrittore dell’Alto Vicentino: “Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta trainata da un generoso cavallo per la piana di Marchesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero come sarebbe triste il mondo”.
Davvero: come sarebbe triste il mondo se non ci fossero i pazzi di Dio!
Claudia Koll ha fondato, nel 2005, l’Associazione Onlus “Le Opere del Padre” «[…] come risposta concreta all’esperienza fatta dell’amore misericordioso del Padre, tenero come una madre, che perdona, restituisce dignità, rimette in cammino, sostiene e consola nella sofferenza chi a Lui si rivolge con fiducia […]».
L’Associazione si occupa di progetti, in Congo e Burundi, atti a sostenere le famiglie e i bambini bisognosi di queste zone povere dell’Africa anche, ma non solo, attraverso la costruzione di strutture sanitarie e scuole.